Non è vero che tutti non amano Matteo Renzi: molti, moltissimi (?) lo ammirano. Ci risulta. Perché? La risposta che ha il denominatore comune è questa: “E’ uno che fa. Uno che fa in un Paese dove non c’è nessuno che fa e che si assume le proprie responsabilità. Renzi fa”. L’argomentazione (almeno apparentemente) non fa una grinza: in un’Italia immobile, se c’è qualcuno che decide per gli altri, agli altri sta bene. Quindi il via al processo del cosiddetto cambiamento del modo di fare politica in Italia è stato dato con la cosiddetta rottamazione, un’azione che ha preso alla sprovvista personaggi del calibro di Bersani e D’Alema (solo per citare alcuni nomi) e quanti erano legati (al cosiddetto) vecchio sistema. All’analisi, un’azione da manuale che, (molto) teoricamente ha presupposto un progetto sicuramente supportato (?) in maniera forte. Dalla rottamazione in poi, su tutto passa Renzi: dall’Italicum alla Scuola. Ora è la volta dei Sindacati.
Il “Sindacato unico” che Renzi auspica sembra la prossima tappa della trasformazione che il premier ha avviato con la “rottamazione”. “Il sindacato unico – replica il segretario della Cgil, Susanna Camusso – è una concezione che esiste solo nei regimi totalitari. Penso che il tema del sindacato sia quello del sindacato unitario. Invece il sindacato unico è una concezione che è concettualmente sbagliata perché presuppone che la totalità di orientamenti e la rappresentanza di tutti i soggetti, anche diversi, che vi sono nel mondo del lavoro, vengano inclusi in un pensiero unico che non fa parte della modernità“. Secondo il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan “l’Italia non ha bisogno di un sindacato unico ma di sindacati responsabili e riformatori, capaci, come ha fatto sempre la Cisl nella sua storia, di guidare le trasformazioni del Paese con una linea partecipativa e non antagonistica”. Per il segretario dell’Uil, Carmelo Barbagallo, il “premier vorrebbe un sindacato come quello che ha Putin. Dove c’è un sindacato unico o ci sono governi totalitari o ci sono lavoratori che stanno peggio”. Quanto varranno queste affermazioni dei leader di Cgil, Cisl e Uil fra qualche mese, se nessuno sarà in grado di mettere un freno al “progetto Renzi”?
Una risposta a interrogativi di questo genere, indirettamente facendo un quadro complessivo dell’attuale situazione, l’hanno data Andrea Camilleri, Luciana Castellina, Guido Ceronetti, Pietro Citati, Gherardo Colombo, Massimo Fini, Vittorio Gregotti, Claudio Magris, Dacia Maraini, Piergaetano Marchetti, Piero Ottone, Giampaolo Pansa, Stefano Rodotà, Giovanni Sartori, Emanuele Severino, Gustavo Zagrebelsky, intervistati dalla giornalista Silvia Truzzinel de “Il Fatto Quotidiano”, interviste raccolte nel libro “Un paese ci vuole” edito da Longanesi. Per tutti e per il tutto, lapidare l’affermazione di Andrea Camilleri: “La febbre è alta. Siamo in un momento di decadenza: la crisi della politica rappresenta la crisi della società”. Ma tanto basta?
Quale iniziative verranno portate avanti quando passerà la parola d’ordine “rottamiamo tutti i dissidenti”?