Fummo grandi e signori, ci ridussero piccoli e servi

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risorgimentodi Guido Di Stefano

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    Da soli saremmo stati primi in occidente e centro politico ed economico del Mediterraneo: Roma prima e poi l’Italia, l’Europa, gli USA infine non hanno voluto.  Tutti uniti e solidali contro la Sicilia.

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    Dall’epoca dei conti Normanni fino al fatale 1860 sono state reiterate le aggressioni all’indipendenza della Sicilia: scomuniche, minacce, aggressioni militari, dominatori imposti, assegnazioni arbitrarie, inquisizioni e crimini connessi, di tutto e di peggio, con morti ed espatri, di cui si sono persi i numeri, in particolare negli anni sessanta del diciannovesimo secolo.

    Eravamo proiettati in avanti, con “vertici” proiettati almeno un secolo avanti; siamo stati “liberati” da ogni ambizione e democraticamente livellati al di sotto del primo gradino della scala umana.

    Ricostruire  la nostra storia, recuperare la nostra memoria, riappropriarci della nostra identità, della nostra vera cultura, della “ricchezza” della nostra madre non è facile, anche perché troppi sono ancora i segreti di stato e sono andati  distrutti e perduti molti archivi  pubblici e privati.

    Saccheggi delle  varie soldataglie d’Europa, incendi casuali o appiccati, deterioramenti, furti, bombardamenti, cancellazioni comandate, ignoranti decisioni e speculazioni: questi i fattori più noti dello “sterminio” delle testimonianze documentali pubbliche e private. Documenti irripetibili sono andati nel nulla; specialmente quelli privati che aprivano finestre sulla società quotidiana e contemporanea (ad ogni epoca).

   Vi citiamo e commentiamo tre frammenti fortunosamente ripescati.

    Nell’aprile del 1830 il vescovo di Patti Nicolò Gatto nel suo testamento olografo si premurava di assegnare “due mesate” dei rispettivi salari a tuttle le persone che al momento della sua morte fossero state al suo servizio. Per quanto ci risulta, per quei tempi e il secolo successivo, è successo solo in Sicilia che qualcuno si preoccupasse di indennizzare i dipendenti pe la perdita di lavoro senza preavviso. L’alto prelato fu una “figura eccezionale”  già all’epoca e rapportato ai tempi contemporanei è un gigante: tra l’altro lui lasciò anche  in dono alla sua chiesa  l’equivalente (se non abbiamo sbagliato le conversioni) di quattrocentomila Euro. E non si trattava certo di “denaro pubblico” o dei proventi delle offerte dei fedeli!

   Abbiamo “pescato” una secolare “brochure” del 1906: trionfalmente pubblicizzava l’ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE  – MILANO 1906  APRILE-NOVEMBRE sotto l’alto Patronato di S.M. il Re d’Italia.  Partecipavano ufficialmente 9 nazioni e ne erano comunque rappresentate altre 19. Oggetto dell’esposizione erano trasporti terrestri, aeronautica, trasposti marittimi e fluviali, mostre retrospettive dei trasporti, arte decorativa, galleria del lavoro per le arti industriali, igiene, previdenza, piscicultura, agraria, belle arti: il tutto “all’insegna” di spettacoli, gare, corse, premiazioni, concerti, villaggi africani, quartieri orientali … Ma, ecco la notizia tragica per noi Siciliani: i collegamenti ferroviari (gli unici considerati per le distanze temporali interne) si fermano all’altezza di Napoli, con buona pace della “urlata” (ma non praticata) unità. Pensate un poco: si poteva viaggiare in treno da Milano a S. Pietroburgo o Costantinopoli, ma non fino a Messina, Palermo, Catania. Non vi ricorda per caso l’alta velocità e i traghetti attuali?

    Bando alla tristezza: passiamo alla tragedia nell’anno 1907.

Sembra che il marchese Adriano Colocci, fruendo dell’ospitalità del giornale “l’Azione”, avesse deriso le due cittadine sicule di Randazzo e Riposto, che civilmente (anche se forse folcloristicamente) avevano manifestato delusione e scontento per tante “scelte” governative. Il nobile siciliano Mattia Vagliasindi  non fu ospitato dal predetto giornale, che ne era invece obbligato poiché  inneggiava e omaggiava la “libera discussione”: ma forse libera discussione nell’Italia unita (da subito) è stata interpretata e applicata come libertà di parola per il nord e libertà limitata all’ascolto per il sud. Comunque il nobile figlio di Sicilia è riuscito a tramandarci, con una pulita edizione di stampa a sue cure e spese, il suo pensiero: chissà che effetto ha avuto sul destinatario.

   Lo citiamo questo  nobile siciliano che, con orgoglio, rimprovera il nordico marchese:

Ella, egregio Marchese, non è siciliano e … ancora non ci conosce bene …” e poi continua.

“… omissis … Noi non ci muoviamo o gridiamo per spirito di campanile, chè i nostri padri han versato anch’essi il loro saangue generoso per l’unità della patria, come han saputo lasciare a perenne ricordo degli oppressori i Vespri. Se protestiamo  si è perché siam consci dei sacrifici fatti, dei torti ricevuti, e dell’abbandono in cui fummo lasciati. Sa ella, egregio Marchese, quante furono le centinaja di milioni tolti alla Sicilia colla legge di soppressione che da noi esularono per pagare i debiti degli Stati Sardi oberati da tanti anni di guerra? In Randazzo solo ben dieci conventi col loro corredo di ori, di argenti, di beni rustici etc. furono devoluti al demanio dello stato. Che n’ebbe la Sicilia? Il Piemonte e la Lombardia furono arricchiti di strade, di canali, di ponti, di linee ferroviarie (non sempre necessarie) e noi? … Dopo tanto chiedere … la provincia di Catania s’ebbe la Circum Etnea! … una vera piaga (sotto la vostra dittatura)!!!…   omissis … Via, signor Marchese, ci lasci gridare abbasso i ladri ed i conculcatori. Dianime! Credevamo che questo solo ci restasse dei tre P (nota: pagate, parlate, piangete)  che il nostro governo ci facultava; due sono ormai esauriti…… ne lasci il terzo: Parlare Del resto io son col Giusti: Rubino i ladri, è lor mestiere. Il mio è di schernirli.

A rivederla.  

Villa Marchesa, 11 Marzo 1907.

DEVOTISSIMO MATTIA VAGLIASINDI”  /// Adernò Tip. – G. Gemma.

     Ed oggi?

Sono cambiati gli orchestrali ma non lo spartito: non come, ma peggio di ieri!

L’orgoglio avito è ancora in noi?

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