Ci sono due Italia, sempre.
Quella che funziona e quella che non funziona, quella che produce e quella che non produce, quella del Nord e quella del Sud, quella delle gelide e bellissime Alpi e quella dei caldi vulcani (etneo, partenopeo, tirrenici), quella in odor di mafia e quella in odor di Stato, quella dei cittadini e quella dei politici.
Ci sono due Italia nella mentalità e nella voglia di cambiare le cose. C’è l’Italia di quelli che “tanto non cambia nulla” (e questo è il peggior alibi perché li autorizza di fatto a contribuire perché nulla cambi) e quella che cambierebbe tutto, ma solo protestando alla tastiera di un computer: sui social, come sui commenti agli articoli dei giornali online, e ci sono quelli che non si fidano più di nessuna fonte giornalistica e si creano la cosiddetta contro-informazione. Che, per inciso, fa ancor più danni dell’informazione ufficiale.
Ci sono infiniti modi di vedere le cose e in questa babele di parole e interessi diversi ci sono infiniti modi di impegnarsi. Solo che, così facendo, divisi ognuno per la sua strada finisce che solo i veri “manovratori” hanno benefici reali. Perché le forze di pacifiche proteste o, meglio ancora, di pacifiche proposte, si disperdono in mille rivoli e rimangono di fatto inascoltate.
A volte si guarda ai numeri, e gruppi di 2 mila o 20 mila persone, sembrano, agli occhi di sprovveduti cittadini numeri biblici, numeri capaci di cambiare il corso della storia. Ma nell’epoca della globalizzazione di sette miliardi di persone nel mondo, quei numeri sono certo un buon inizio, ma equivalgono non più al “coltivare ognuno il proprio orticello”, quanto piuttosto a coltivare il proprio vasetto con una piantina innestata (e magari preparata da altri, a tavolino, scientemente).
Perché questa lunga premessa? Perché non si può non prendere coscienza che i problemi dei poveri non derivano dall’aumento della povertà (quindi di nuovi poveri) ma invece che quest’aumento deriva dall’impoverimento voluto da specifici soggetti che in pochi, detengono potere ed economia per gestire l’intero Paese (e nel mondo l’intera “umanità”). Non si può ritenere ancora che per risolvere “il mio” problema debbano togliersi risorse al “tuo”. La miopia dei tanti, singoli, movimenti è questa. Ritenere che il detto latino “mors tua vita mea” sia applicabile a ogni ambito, dimenticando l’origine di tale motto che in effetti significa: “Sentenza applicata a vari casi particolari per significare che il danno di una persona è spesso un vantaggio per un’altra. In senso lato, la frase latina allude alle dure leggi della vita e alla lotta per l’esistenza“. Ma se parliamo di una singola persona questo ha un senso, qui però si parla del bene del Paese, allora il significato -inevitabilmente- cambia. Cittadini contro Ingiustizia, cittadini contro quei Poteri che appaiono sordi alle esigenze primarie. Con questo, sia chiaro, non si intende certe delegittimare le Istituzioni, si tratta piuttosto di affrontare in maniera organica i problemi di tutti affinché, insieme alle Istituzioni, si arrivi a un giusto equilibrio. È chiedere la luna? Ci sembra di no.
Ci piace insomma quell’Italia che prova a migliorare il Paese, con l’impegno di ogni giorno, in ogni apparentemente piccola azione, che pensa al “bene comune”; non ci piace quella che mira a devastarlo, a depredarlo o quantomeno, pigramente a lasciarlo immobile perché “tanto non cambia”.
Ci vuole, insomma, una maggiore consapevolezza da parte di ognuno di noi, di ogni cittadino prima di tutto. Perché il Paese non è soltanto di “lor signori”, tranne che non si sia già deciso di svenderlo per meno di un piatto di lenticchie. Se così fosse, avvisateci.