Forse Matteo Renzi non se ne è reso ancora conto, oppure è il contrario, cioè che ha compreso bene che il suo tempo è scaduto, o, forse ancora (come abbiamo detto in precedenti articoli in momenti non sospetti) quel che doveva fare l’ha fatto e il rimanente gli interessa poco. Ma, cosa ha fatto di tanto importante che, probabilmente, è sfuggito ai più, o ai “non addetti ai lavori”? Quale era la vera “mission” di Matteo Renzi? Noi possiamo fare soltanto ipotesi di fantapolitica, sicuramente campate in aria… Ipotesi che non hanno nulla a che vedere con il ruolo istituzionale ricoperto da Matteo soprannominato da molti “il bello”.
C’è qualcosa che è stata ed è sotto gli occhi di tutti, ma tutti (o quasi) questa “qualcosa” non l’hanno analizzata a fondo e, in… fondo, anche noi possiamo sbagliarci… Ci riferiamo al PD, il partito che ha come segretario dal dicembre 2013 Matteo Renzi. Questo PD è stato stravolto nella sua tradizione (già precaria) dalla costante azione corrosiva del suo segretario, che ha iniziato il suo “difficile” percorso con il rottamare a destra e a manca i riconosciuti leaders, accusati d’essere fin troppo legati al passato (?) e di rimanere statici di fronte alle esigenze del futuro (?). Sono usciti di scena così i Bersani, i D’Alema e quant’altri personaggi (noti e meno noti) si sono frapposti sulla sua strada. Sinteticamente, ci chiediamo cosa sia oggi il PD: non certo un partito che possa definirsi erede e continuatore della Sinistra storica. Togliatti e Berlinguer chissà quale giudizio esprimerebbero, se potessero farlo. Allora, ecco l’interrogativo fantapolitico: è possibile che la “mission” di Matteo Renzi sia stata quella di mettere “ko” il PD? Parliamo (e lo sottolineiamo) in termini di fantapolitica, a scanso di qualche denuncia. Non si sa mai, con l’aria che tira. Dunque, solo ed esclusivamente fantapolitica per evitare qualsiasi equivoco.
La “fantasia”, è circostanza ben nota, la “fantasia” porta sempre lontano, ma dal successo elettorale delle Europee con quel tanto decantato 40 per cento di vittoria (là dove si è voluto trascurare il dato fondamentale dell’assenteismo, il 50 per cento dei votanti), ai risultati recenti regionali e comunali, tutti si sono chiesti il perché di un “crollo” del PD non previsto e troppo eclatante. Indubbiamente di “spiegazioni” ne abbiamo sentite tante, ma poche (pochissime) hanno fatto riferimento allo “status” del partito PD, dal centro alle periferie vicine e lontane. La sorpresa della “ripresa” dei 5 Stelle di Grillo, il successo di Salvini, l’affermazione di coalizioni locali di centrodestra, tutto questo sì che è comprensibile: è la spasmodica ricerca di “alternativa” da parte di coloro che a tutt’oggi intendono esprimere il loro dissenso affidandolo alle urne. Ma badiamo bene, in Sicilia (la “Waterloo” di Renzi-Napoleone), ai ballottaggi i votanti hanno raggiunto appena quota 47 per cento. Un dato che la dice lunga su quello che può essere il futuro elettorale italiano.
E il futuro del PD? Ma quale PD?
Berlusconi ringrazia…