Il gioco pericoloso, quasi al limite, è fra USA e Russia, ma in campo scende la NATO e dovremmo dire “ovviamente”. Agli Stati Uniti d’America non bastano le restrizioni che da tempo sono state elargite alla Russia, gli USA vogliono che il leader maximum abbassi la testa e dica (quasi) “signorsì”. Nato (e “ovviamente”) Unione Europea schierate contro Putin, quindi armi e armati a braccetto con le sanzioni economiche.
Il nostro è un discorso di “parte”? Chi pensa che lo sia è in pieno errore: ci preme solamente sottolineare che a furia di tirarla, da una parte e dall’altra, la fune si rompe. Come dire, se i precari equilibri saltano (per colpa degli uni o degli altri, poca importanza ha, a conti fatti) chi ne piange le conseguenze?
Proprio in un articolo pubblicato ieri ricordavamo che venticinque anni addietro veniva chiuso a Berlino il “Checkpoint Charlie”, quel punto di transito controllato da militari tra due mondi, l’Ovest e l’Est, il Capitalismo e il Comunismo, la libertà e la mancanza di libertà. Fu qui che nell’ottobre del 1961, anno della costruzione del muro, si fronteggiarono i carri armati americani di Kennedy e quelli sovietici di Krusciov, in un momento di tensione che avrebbe potuto preludere a un nuovo conflitto mondiale. Nonostante il tempo trascorso, il passato, a quanto sembra, non è riuscito a insegnare nulla a chi tiene in mano le sorti di questa terra e di chi ci abita. Il dramma (o tragedia?) è che questi cosiddetti responsabili sono consapevoli del vento che soffia: tra la Russia e la Nato è già un vento di tempesta.
La NATO ha deciso di portare 40 mila militari al confine con la Russia, ufficialmente per rispondere alle recenti decisioni di Putin di incrementare, a sua volta, la presenza missilistica in aggiunta alla forza di 150 mila uomini dislocati nei punti nevralgici di queste nuove frontiere della tensione. Motivazione della Nato? L’accusa al Cremlino di aver avviato l’escalation del riarmo con l’annessione della Crimea. Un atto “non difensivo”, al contrario di quello proposto dall’Alleanza, perché “annettere una parte del territorio di un altro paese non lo è”. La risposta? La risposta del Cremlino, espressa dal portavoce del ministero della Difesa russo, il generale Jurij Jakubov, è che la decisione del Pentagono di schierare centinaia di carri armati e semoventi d’artiglieria in Europa Orientale, a ridosso dei confini russi, è “l’atto più aggressivo dai tempi della Guerra fredda“. Un gioco al limite, pericoloso, come dicevamo, che forse è solo uno dei primi capitoli del nuovo conflitto tra la Nato e Mosca.
Il vice capo del Pentagono, Robert Work, dichiara apertamente: “Putin sta giocando con il fuoco”, quando usa le armi nucleari per intimidire gli alleati della Nato, e Washington sta preparando le risposte. Work ha assicurato che “non consentiremo alla Russia di guadagnare un vantaggio strategico su questo punto”.
Come si può notare, e botta e risposta senza esclusione di colpi.
Paradossalmente in questo scabroso momento il più saggio appare Berlusconi, che si reca in Russia perché “C’è una situazione di tensione nella politica internazionale tra l’occidente e la federazione russa che si sta sempre più aggravando, con conseguenze sull’economia e sull’occupazione italiana e sulle prospettive di pace. Non posso sottrarmi al dovere di interessarmi di questa situazione perché sono stato proprio io a far stipulare il trattato di Pratica di Mare tra la NATO e la Russia nel 2002, il trattato che ha posto fine alla guerra fredda, e perché sono stato ancora io, come presidente nel G8, ad adoperarmi affinché fosse firmato nel 2009 l’accordo preliminare per le riduzioni delle armi nucleari nei rispettivi arsenali, al presidente Obama e al presidente Dimitri Medveded”.
E se la “missione” di Berlusconi avesse successo? Forse, per un attimo, il premier italiano Matteo Renzi toglierebbe dalle sue labbra quell’eterno sorriso, da molti ritenuto insignificante… Ma così non accadrà perché per Obama la “posta” in gioco è molto, molto alta. Anche per il mondo.