Il terrore a due passi da casa nostra, già quasi a casa nostra: l’attacco dei terroristi a Sousse, in Tunisia, poco meno di trecento chilometri da Gela, lo dimostra. Così mentre Obama gioca con Putin alla “guerra fredda”, l’Isis si muove sull’onda di una violenza inaudita provocando morti e destabilizzazione no-stop. Così mentre si alza lo stato di allerta anche in Italia, il regime del terrore programma sistematici attacchi ai Paesi occidentali, nella piena consapevolezza di suscitare l’orrore per indebolire maggiormente l’Occidente, ma non quanti ancora sottovalutano una situazione che diventa sempre più tragica. Sottovalutare, se non minimizzare quanto si sta verificando, è veramente da incoscienti.
Sessantatre vittime accertate (37 a Susa, in Tunisia, 25 a Kuwait City, uno a Lione in Francia), centinaia di feriti in tre attentati con un’unica regia. L’attentato di Lione poteva sicuramente provocare molte più vittime, ma il punto non è questo: la questione è tutta chiusa nella feroce volontà dei jihadisti di destabilizzare ciò che per loro è una civiltà da annientare. Questo è il parto della “primavera araba”, questa è la filosofia di chi anima guerre su tutti i fronti possibili e no.
Il terrorismo – lo sosteniamo da tempo – è stato, è, e sarà sempre imprevedibile nelle sue azioni; abbiamo anche sostenuto che è estremamente difficile fronteggiare ciò che è imprevedibile. Questa è una delle ragioni che giustifica il lavoro (spesso, purtroppo, a vuoto) degli analisti che utilizzano le informazioni degli agenti operativi: ipotizzare degli scenari che non escludano nulla, che non lascino zone buie o zone d’ombra. Chi non ha strumenti idonei per costruirsi una opinione che sia, quantomeno, “vicina” agli avvenimenti che si vivono – ed è pure il nostro caso – può fare uso solo della sua “ragione” per cercare di comprendere ciò che accade. Razionalmente discutendo, si può dire che il “problema terrorismo” va visto principalmente sotto due aspetti cardine: situazione esterna al Paese (cioè, terroristi che penetrano o tentano di penetrare nel territorio); situazione interna al Paese (cellule di insospettati già radicate nel tessuto sociale). All’interno di queste due esemplificazioni, una miriade di elementi che rendono complesse le indagini degli organismi preposti alla sicurezza del Paese.
Essere in fase di “massima allerta” è già un livello preventivo importante, ma non è la panacea che può scongiurare la possibilità che venga posta in atto un’azione criminale. Vigilare sugli “obbiettivi sensibili” significa ben poco. Tutto ciò che è sul territorio nazionale è un “obbiettivo sensibile”: dal supermercato, alla discoteca, al parco urbano, ad una comune arteria cittadina, a un mezzo pubblico o privato, a una galleria d’arte, a un negozio, eccetera. Impossibile mettere in sicurezza ogni cosa contro l’insidia di un atto terroristico che può colpire ovunque. In articoli precedenti abbiamo fatto riferimento alla “Operazione Vespri Siciliani”, quando l’Esercito venne mobilitato sulle strade dell’Isola: di certo non si pensava di riuscire a sconfiggere la mafia, ma si riteneva (a buon conto, e così è stato) che potesse essere un deterrente contro la criminalità organizzata. Ora non si tratta di riprendere e riproporre moduli “difensivi” del passato e con altre finalità: si tratta di mettere in atto nuovi “deterrenti”, quali che siano e che non sta a noi suggerire.
La sicurezza di un Paese, la sicurezza dei cittadini dovrebbe essere questione primaria per un Governo che rappresenta l’intera collettività. Un Governo che non mostri falle, così come accade continuamente, ma che abbia prontezza del da farsi. Nel settore “sicurezza” il Governo attuale mostra incertezza, e il decisionismo che il premier Matteo Renzi ha attuato per altre questioni, nel caso specifico fa acqua da tutte le parti. Altrettanto dicasi per i responsabili dei dicasteri più importanti, gli Interni e la Difesa. Le misure adottate sino ad ora sono qualcosa. Poca cosa a fronte di ciò che è necessario.
Non ci sono più frontiere per la violenza, l’orrore si respira nell’aria ma l’organismo “umano”si adatta a tutto, e tutto scivola via perché le cose nefaste capitano “agli altri”, e fin quando non si è colpiti direttamente l’orrore dura poco e viene sopraffatto dal gossip del quotidiano.
Giacomo Costa, gesuita, direttore della rivista Aggiornamenti Sociali così commentava nel marzo scorso l’attentato al Museo del Bardo a Tunisi:
“Partiti per una crociera, rientrano come vittime della terza guerra mondiale: è questo il destino toccato ai nostri connazionali uccisi nell’attentato al museo di Tunisi. Mentre giustamente ci stringiamo intorno alle loro famiglie, come Paese dobbiamo anche chiederci che cosa significa che siamo parte di questo conflitto e come vogliamo assumere il fatto che ne siamo coinvolti. Se non vogliamo ridurla a un banale stereotipo, affermare che è in corso la terza guerra mondiale richiede di cambiare il modo con cui abitualmente guardiamo alla geopolitica globale. Innanzi tutto – e i fatti di Tunisi lo confermano ancora una volta – occorre aggiornare la definizione di guerra e riconoscere quanto siano mutate le forme della violenza bellica: in un certo senso, le guerre sono state “de-istituzionalizzate” e questo spiega perché cresca il numero di vittime civili (ben più di quello dei caduti militari). Inoltre, racchiudere tutti i conflitti sotto l’etichetta “mondiale” richiede di riconoscere come non si tratti di eventi occasionali distribuiti in modo più o meno casuale sul globo, ma di processi che si diffondono attraverso le reti sociali e creano condizioni che rafforzano l’uso della violenza.”.
Maurizio Molinari ieri sul quotidiano La Stampa sottolineava che
“L’attacco terrorista a due alberghi sulla spiaggia di Sousse conferma la strategia jihadista di portare la guerra in Tunisia uccidendo i turisti stranieri. A quasi cento giorni di distanza dall’assalto al Museo Bardo di Tunisi – che causò la morte di 20 turisti, 2 tunisini e i due terroristi – i jihadisti tornano a colpire l’identico obiettivo degli stranieri ma con modalità diverse. Fare fuoco con i kalashnikov sui bagnanti che prendono il sole sulla spiaggia, fra ombrelloni, sdraio, asciugamani e docce in uno degli angoli più ricercati del Mediterraneo significa voler generare il terrore in qualunque straniero intenzionato a soggiornare nel Paese dei gelsomini.”.
Il terrore jihadista da tempo si muove incurante dei confini: inculcare insicurezza in ogni individuo “normale” è uno degli obbiettivi primari. Il risultato già si avverte in maniera pesante.