di Salvo Barbagallo
Politici e governanti: se hai un “bene” che è “comune”, cioè di tutti, allora non vale nulla. Se per quel “bene” poi sono stati investiti danari per renderlo “comune”, cioè fruibile da tutti, e i danari li hai già avuti e spesi, allora quel “bene comune” lo puoi abbandonare, lasciarlo al degrado e ad una fine indegna. Questa non è teoria, ma filosofia spicciola “pratica”, di taluni e lo dimostra il “caso” dell’ex raffineria di zolfo in viale Africa a Catania adiacente all’ex Palazzo delle Poste che è andata in fumo lunedì scorso, di proprietà del Comune.
L’ex raffineria “Alonzo e Consoli” risalente al XIX secolo come le altre nella zona (le “Ciminiere”, intese in senso catanese) doveva essere trasformato in un centro polifunzionale culturale: biblioteche, sale convegno, museo d’arte moderna. Un progetto ambizioso che portava la firma dell’architetto Giacomo Leone, risalente al 1984, ma il primo cantiere prese avvio soltanto nel 2000 grazie alle risorse del Patto Territoriale per Catania. Per la prima parte dei lavori vennero stanziati furono stanziati 1,5 milioni di euro dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture e 959.000 euro dalla Cassa Depositi e Prestiti ma, a quanto pare, ne vennero spesi solo 125.000 euro. L’azienda vincitrice della prima gara d’appalto, la “Casal spa” con sede legale a Roma, realizzò solo l’80 per cento di quanto previsto lasciando i lavori incompiuti nel 2003, rescindendo poco dopo il contratto d’incarico. Per 5 anni la raffineria venne di fatto abbandonata, Nel 2008 subentrò la “Tecnorestauri s.r.l.” trovando il sito in uno stato di assoluta devastazione: i vandali, nel corso degli anni, avevano provveduto a portare via tutto ciò che fu loro possibile. L’impresa si era aggiudicata l’appalto per 1.728.500 euro, ma eseguì solo pochi interventi per un importo di circa 140.000 euro. Ne scaturì un contenzioso con il Comune di Catania, finito poi in tribunale nel 2010 per una causa di risarcimento danni avanzata dalla stessa ditta. L’amministrazione comunale rientrava in possesso della struttura nel marzo del 2012: nonostante quattro esposti alla magistratura presentati dall’architetto Leone, i lavori sono rimasti latitanti e il sito si è trasformato – a pochi passi dall’Ufficio Stranieri della Polizia – in rifugio di rom ed extracomunitari. Per recuperare e valorizzare l’immobile, il 30 dicembre del 2014, con delibera di Giunta, l’amministrazione comunale aveva approvato un atto di indirizzo politico per la stipula dell’affidamento in uso all’Accademia di Belle Arti di Catania affinché nell’immobile venisse allocata la nuova sede dell’Accademia stessa, i laboratori e venisse realizzata una Galleria di Arte Moderna e Contemporanea. Anche quella delibera non ha avuto un seguito.
Il quotidiano “LiveSicilia” denuncia : “I piani alti del Comune, i vertici della Polizia municipale che dovevano custodirlo e l’assessore al Patrimonio Giuseppe Girlando non sapevano che l’edificio in fiamme fosse un museo comunale. “E’ un capannone di Virlinzi”, dicevano, e lo stabile bruciava.
L’incendio è divampato in pieno giorno, alle 9.30 circa di lunedì scorso e in pochi minuti, si può dire, ha avuto la meglio sulla struttura: 8000 mq con tetto a falde in legno lamellare e copertura coibentata. Sul posto sono intervenuti i Vigili del Fuoco del distaccamento Sud, due autobotti, 2 autoscale, una autobotte da 25.000 litri: le fiamme, a causa del forte vento, hanno interessato quasi subito l’intera copertura.
Così è diventato cenere un “bene comune”. Denuncia ancora “LiveSicilia”: “Per alcuni uffici ai piani alti del Comune, alle 15.30, quando le fiamme avevano divorato le volte alte 18 metri, disegnate dalla penna del “compagno” architetto Giacomo Leone, era ancora presto per rendersi conto che quello che bruciava era proprio un bene pubblico. Un bene che il Comune aveva il dovere di proteggere”.
Il “bene comune”? Ci piacerebbe conoscere l’opinione del sindaco di Catania, Enzo Bianco, in merito a questo triste episodio. Enzo Bianco, con le sue innumerevoli esperienze derivategli dagli importanti ruoli ricoperti (parlamentare, ministro degli Interni, presidente dell’ANCI, presidente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, COPACO, eccetera) sa bene cosa significhi “bene comune”. Quel “bene comune” che soprattutto i governanti dovrebbero sapere custodire e valorizzare. Ma, come detto, il “bene comune” vale poco, molto poco. La responsabilità del crimine commesso distruggendo la struttura di Viale Africa non ricade esclusivamente sull’autore-piromane, ma su tutti coloro (nessuno escluso) che non hanno avuto alcun interesse a prevenire ciò che non era difficile immaginare potesse accadere.