di Salvo Barbagallo
L’esodo dei migranti-profughi che si riversa sull’Europa è provocato “soltanto” dalle guerre, dalla fame e dalla disperazione che investe Paesi come la Siria, la Libia e la Somalia? L’interrogativo è d’obbligo, e non intacca minimamente la questione umanitaria perché ogni vita in pericolo è giusto e necessario che debba essere salvata.
L’interrogativo (se ci sia qualcosa d’altro come causa di fondo dell’esodo), è d’obbligo poiché (lo diciamo anche se possiamo apparire “sprovveduti” o “informati male”) non si è visto applicato e non si intravede all’orizzonte alcun piano mirato ad una adeguata accoglienza, alla regolarizzazione e alla cosiddetta possibile integrazione dei migranti-profughi (che ormai transitano dalle frontiere a migliaia ogni giorno) da parte degli organismi competenti europei e mondiali. L’esodo era previsto (basta andarsi a rileggere i giornali dello scorso anno), era noto che centinaia di migliaia di disperati bivaccavano da tempo e senza alcuna assistenza nelle spiagge libiche, così come in altre aree delicate, fra l’altro dominate dagli jihadisti dell’ISIS.
Si è parlato e si continua a parlare di un grande business legato al traffico degli esseri umani che provengono dall’altra parte del Mediterraneo, sono stati tratti in arresto (in Italia) numerosi scafisti, ma i viaggi della disperazione e della cosiddetta speranza nel Canale di Sicilia non si sono interrotti, il numero delle vittime è cresciuto inesorabilmente. Ma è solo la fame, la disperazione e la speranza di una vita migliore che spinge questo enorme flusso umano verso l’Europa, o c’è chi lo favorisce con finalità equivoche e inquietanti?
Siamo convinti che “fame”, “disperazione” e “speranza” sono gli elementi di base che esistono veramente in questa persone che affrontano sulla propria pelle tutti i rischi che conosciamo, e che affrontano anche il sacrificio di “pagare” il loro viaggio (migliaia di euro a individuo) con tutto ciò che posseggono, a vantaggio di speculatori della peggiore specie. C’è, però, l’altra faccia della medaglia: quella, come detto, che non sussistendo (almeno allo stato attuale) un “piano” o un reale “progetto” di regolarizzazione propedeutico ad una possibile integrazione di centinaia di migliaia di migranti-profughi, questa presenza (come sta accadendo) possa essere vissuta dalle collettività “ospitanti” come invasiva, determinando reazioni incontrollabili.
C’è chi vuole “africanizzare” l’Europa? Ragionando a 360 gradi, e non solo con il sentimento umanitario, indispensabile per una tragedia di portata biblica, l’ipotesi non può (e non dovrebbe) essere scartata aprioristicamente.
Le radici di troppi eventi nefasti verificatisi negli ultimi anni sono sfuggiti e sfuggono anche alle analisi più approfondite, spesso per mancanza di ellementi certi: la nascita dell’ISIS, per esempio. Altri eventi vengono coperti per interessi di parte: le ragioni che hanno portato alla fine di Gheddafi, per esempio. Altri eventi, ancora, sono sfumati (o bruciati) per cause ignote: le “Primavere arabe”, per esempio.
Ora (per restare nei ragionamenti a 360 gradi) ci si dovrebbe chiedere (e scoprire) quali siano le “vere” radici di questo esodo che non finirà oggi, né domani, né dopodomani.
Inoltre, paragonare quanto sta accadendo oggi in Europa alle migrazioni fine Ottocento inizi Novecento verso la “Merica” di italiani ed europei è fuorviante: la “Merica” era un continente giovane e in grado di accogliere masse enormi di “stranieri”, e pur tuttavia quando gli “emigranti” toccavano quel suolo, a New York, dopo traversate di 25-30 giorni in condizioni disumane su fatiscenti piroscafi, venivano “isolati” a Castle Garden e poi a Ellis Island, un piccolo isolotto che si trova di fronte a Manhattan definito il “non luogo”, “l’isola delle lacrime”. Qui i nostri “emigranti” dovevano subire tutta una serie di controlli da parte di ispettori che effettuavano “ispezioni” di carattere sanitario. Se si fosse sospettato che il nostro “emigrante” potesse essere portatore di qualche malattia, oppure fosse stato in età avanzata, oppure non avesse soldi, veniva rispedito in patria. Allora venivano definiti “emigranti” e non “profughi” come oggi, in maniera indiscriminata. Oggi i “controlli” sui “profughi” presentano notevoli difficoltà: la storia dei principali centri di accoglienza è nota, i “profughi”, appena possono, fuggono e fanno perdere le loro tracce. Spesso nessuno li può aiutare.
Se, come è previsto, l’attuale esodo raggiungerà nei prossimi mesi, nei prossimi anni dimensioni abnormi, quale processo di integrazione potrà essere attuato, considerato che ancora non esiste (come più volte evidenziato) un “piano” per l’accoglienza e, quindi di conseguenza, una “piano per la presenza” in Europa di questi migranti-profughi? Questa “presenza” quale “impatto” comporterà nelle comunità locali?