di Salvo Barbagallo
Catalogna: oggi “Independence day” o soltanto un sogno che sfuma?
Di certo c’è attesa per i risultati elettorali di oggi in Catalogna, ma c’è anche preoccupazione, allarme e…speranza. I sondaggi danno maggioranza assoluta ai “separatisti”. Eh sì, si usa ancora il termine “separatista” in segno negativo mentre dovrebbe essere più giusto, più corretto dire “indipendentista”. La Catalogna, infatti, è da 300 anni che insegue la sua “indipendenza” e questo è un fatto storico innegabile.
Per la Spagna, quella che si tiene oggi, è la consultazione più delicata per la regione, una consultazione che può trasformarsi in un plebiscito per l’indipendenza. Non è il referendum sull’indipendenza della Catalogna, che è illegale per la Costituzione spagnola, ma di fatto le elezioni regionali di oggi sono diventate un passaggio cruciale nella sfida che oppone il governo di Barcellona a quello di Madrid. L’ipotesi di secessione può cambiare il volto non solo alla Catalogna, ma alla Spagna intera. Il presidente della Generalitat, Artur Mas, convocando le elezioni regionali anticipate per oggi, non ha mai celato i suoi obbiettivi: vuole un voto “plebiscitario”, al posto di quel referendum che il governo di Madrid non ha mai voluto concedere.
Come scrive Manila Alfano sul quotidiano “Il Giornale” Il fronte dei partiti nazionalisti si presenta unito in una lista unica, Junts pel Sì (Insieme per il Sì), appoggiato anche dalla Cup (Candidatura di unità popolare). L’ultima tappa di una battaglia fatta di piazze e carte bollate è di queste ore: i partiti che governano la Catalogna, i centristi di Convèrgencia i Unió e la sinistra radicale di Esquerra Republicana, hanno scritto nero su bianco il percorso dell’indipendenza: pochi mesi per dire addio alla Spagna. Chi vota per i due partiti del patto sceglie la secessione, senza equivoci. Ottenuta la maggioranza, verrà creata una costituente e le altre strutture del nuovo stato repubblicano, per la cui proclamazione si fissa un termine: 18 mesi da settembre.
Giustificati i timori del governo spagnolo di fronte a una situazione sul filo del rasoio, dove possono decidere gli “indecisi” (quantificati in circa 600 mila) alla cui caccia si sono dati nazionalisti e secessionisti sino all’ultimo momento, quello dell’apertura delle urne. Tensione alle stelle con pesanti minacce che potrebbero tramutarsi in realtà, scrive Manila Alfano: “Le imprese e le banche avvertono: con una Catalogna indipendente siamo pronti a trasferire i nostri affari. E gli istituti di credito, comprese quelle catalane, come La Caixa e Banco Sabadell, spaventate da una possibile uscita dall’Ue e dall’euro aggiungono il carico:..”. La Catalogna “indipendente” finirebbe con l’uscire automaticamente dall’Unione Europea e dall’euro, il Barça di Messi dalla Liga, e i costi, economici, politici e sociali, dell’operazione sarebbero molto alti per tutti. La condizione di rottura si è raggiunta poiché il governo centrale di Mariano Rajoy (centro-destra) ha scelto fin dall’inizio la linea dura contro Artur Mas, governatore della Catalogna che, dal 2010, ha più volte chiesto un negoziato per ottenere maggiore autonomia. L’atteggiamento intransigente di Rajoy ha condotto la situazione verso una rotta di collisione che ora sembra inevitabile che dalle urne scaturirà il risultato che prevedono i sondaggi.
Francesco Olivo, tre giorni addietro, sul quotidiano “La Stampa” ha evidenziato: “Basta fare due passi per Girona per capire che l’indipendenza catalana, incubo o traguardo, non è una cosa poi così astratta. Se Barcellona è divisa, ieri si è sfiorata una rissa per le bandiere da esibire durante la festa della Santa patrona, nel resto della Comunità (o nazione, il termine ovviamente è parte della contesa) sono tantissimi quelli che dalla Spagna se ne andrebbero volentieri e fra due giorni lo faranno pesare nelle urne”. E Omero Ciai su “La Repubblica” sottolinea: “La Catalogna è la regione più ricca della Spagna, rappresenta il 16% della popolazione nazionale e più di un quinto di tutta l’economia. E al di là delle ragioni storiche – a cominciare dal fatto che i catalani parlano una lingua propria diversa dallo spagnolo – il nocciolo delle aspirazioni indipendentiste sono i consistenti fondi del bilancio che ogni anno Barcellona trasferisce al resto della Spagna attraverso il prelievo fiscale. “Se diventiamo indipendenti saremo tutti più ricchi”, è la sostanza della propaganda elettorale contro la quale, dall’altra parte, si fanno notare i rischi di uno strappo che isolerebbe la regione non solo in Spagna ma anche in Europa”.
La Catalogna ha le sue ragioni storiche ed economiche ed è legittimata pertanto a volere (a pretendere) la sua “indipendenza” e se l’Europa è in fibrillazione per questa possibilità che oggi le urne potrebbero concretizzare, è perché con la nascita di un nuovo Stato, l’adesione della Spagna all’Unione Europea andrebbe ridiscussa, così come si verificò per i Paesi balcanici che hanno chiesto di entrare nell’Ue. L’indipendenza della Catalogna costituisce dunque un “pericolo” immanente. Inoltre c’è il rischio che l’esempio catalano possa trovare molti imitatori, a partire dai baschi. La Spagna, se nelle elezioni di oggi dovesse passare l’indirizzo secessionista rischia veramente di esplodere.