di Salvo Barbagallo
In Sicilia si parla da tempo del debutto di una nuova formazione politica gestita da Renzi-Alfano, da quando voci non confermate (ma neanche smentite) sostenevano che il fedelissimo ex senatore Pino Firrarello e il genero (sottosegretario) Giuseppe Castiglione stessero per transitare nel PD. Quelle “voci” venivano date per certe negli ambienti politici, ma i Dem locali smentivano e si mostravano scandalizzati alla sola indiscrezione, ritenuta “strumentale”. Poi esplose il caso “Cara” di Mineo, Castiglione è finito indagato per un presunto coinvolgimento nelle trame affaristiche di Odevaine, e il trasloco dei due personaggi politici nel PD non avvenne, dimostrando che le “voci” erano infondate (?). Ora altre voci (tam-tam popolare) sostengono che in tempi brevi in Sicilia apparirà questa nuova aggregazione fatta di trasversalità e compattata da Renzi-Alfano. Non ci sarà da stupirsi, se così accadrà: la Sicilia, da sempre, è infatti il laboratorio privilegiato e sperimentale di qualsiasi nuova alleanza si crei con lo scopo (o tentativo) in seguito di farla applicare sul piano nazionale. In questa “inedita” esperienza, con Renzi e Alfano starebbe anche l’Udc.
In Sicilia Angelino Alfano gioca in casa (grazie soprattutto alla forza portante Firrarello-Castiglione), e non intende scendere a patti con l’attuale governatore Crocetta, che resiste nella sua poltrona nonostante crisi e scandali di varia natura. Alfano frena sulle proposte di far parte della Giunta siciliana, anche se Castiglione ha dato disponibilità in caso di riforme da portare avanti. Come ha sottolineato giorni addietro (11 settembre) il quotidiano “Huffington Post”, Alfano “ha detto ai vertici locali del Pd che, piuttosto che entrare subito in giunta, preferirebbe andare al voto nella prossima primavera in un’alleanza col Pd. Per due motivi. Il primo è che in tal modo riuscirebbe a far rientrare la Sicilia in un accordo nazionale sulle amministrative (e quindi sulle politiche) perché è chiaro che la coalizione che si presenterà alle amministrative sarà quella che poi competerà per la guida del paese. Il secondo è che in tal modo terrebbe unito un partito che in Sicilia, come a palazzo Madama, è ormai una guerra di bande. E in Sicilia, come a Roma, si registra l’insofferenza (crescente) di Renato Schifani. Il quale vorrebbe prima garanzie sul cambio della legge elettorale (per votare le riforme) e in Sicilia non ha mai rinunciato al vecchio sogno di correre da governatore”.
Insomma, Angelino Alfano (nonostante i suoi detrattori lo ritengano “uomo inutile” per la politica) sta tessendo una trama trasformistica per mostrare e dimostrare che può esserci spazio per un “nuovo” partito: a Matteo Renzi questo gioco sta bene in quanto (qualora la manovra riuscisse) è pur sempre una carta di riserva da poter spendere sul piano nazionale.
La Sicilia “laboratorio politico” è una definizione impropria: la Sicilia “tavolo da gioco” sarebbe terminologia più appropriata, o forse meglio (usando una parola pronunciata per altri versi recentemente da Nello Musumeci), la Sicilia fondamentale “tavolo di rigenerazione”. Noi oseremmo dire, con più semplicità: la Sicilia è il territorio ideale per i facili trasformismi che si vogliono gabellare per “il nuovo” che avanza. I politici, giovani (Renzi, Alfano) e vecchi (Firrarello) lo hanno ampiamente dimostrato.