Tanti avvoltoi svolazzano sulla Siria

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di Salvo Barbagallo

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Seguendo gli avvenimenti recenti che riguardano i fuggitivi dalla guerra in Siria (e gli altri fuggitivi da cosa scappano?), si può essere colti da sensazioni contrastanti, nessuna con il segno positivo. E’ come essere presi da un inquietante déjà-vu, riflettendo magari solo per un attimo sull’origine, cioè sulle cause che hanno provocato e stanno provocando quest’esodo di migliaia e migliaia di persone verso l’Europa: la guerra che dilania quel Paese. Che ha già provocato quasi trecentomila vittime fra la popolazioni. Diverse sono le componenti di questa “guerra”, difficili da comprendere per chi vive in Occidente e che, però, vede l’Occidente coinvolto, volutamente consapevole.

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sirIn Siria in questo momento operano forze militari che, in un modo o in un altro, fanno riferimento alla politica degli Stati Uniti d’America per combattere un nemico comune, quello costituito dal Califfato nero jihadista (come dire il “terrorismo” Isis) e (in ultima o principale istanza?) il regime di Bashar al-Assad. Il déjà-vu ci riporta indietro di quattro anni quando si dette il via all’intervento militare in Libia del 2011 (intervento iniziato il 19 marzo ad opera di alcuni Paesi aderenti all’Organizzazione delle Nazioni Unite, autorizzati dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza) che da lì a poco avrebbe spazzato via il dittatore Mu’ammar Gheddafi. In quel caso l’intervento militare era motivato ufficialmente per tutelare l’incolumità della popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste a Gheddafi e le forze ribelli nell’ambito della prima guerra civile libica. A distanza di anni tutti conoscono (o riconoscono) che la situazione in Libia è peggiorata paurosamente e che, anche da quel Paese, migliaia di fuggitivi cercano di raggiungere l’Europa, attraversando sui barconi il Mediterraneo per raggiungere le coste della Sicilia, arricchendo i trafficanti di esseri umani. In questo momento questi fuggitivi (centinaia dei quali sono già finiti affogati senza suscitare eccessivo sdegno) non sono all’attenzione dei mass media (forse vengono considerati di Serie “C”?), proprio perché l’attenzione è accentrata sui profughi siriani e sulla determinazione (quasi) comune degli USA e di diversi Paesi europei a spazzare l’Isis. Non si cercano e non si vogliono mettere in primo piano le cause che hanno provocato la “crisi” (cioè la “guerra”) per trovare soluzioni adeguate, ma si ragiona in termini militari: dall’Iraq in poi, USA insegnano e impongono. Il “pensiero” dell’Occidente è stato espresso chiaramente dal cancelliere britannico George Osborne, “un piano per una Siria più stabile e in pace deve prevedere la lotta contro la radice del problema, il malvagio regime di Bashar al-Assad e i terroristi dell’Isis”. La crisi siriana durerà vent’anni, come prevede il generale Martin Dempsey, capo di stato maggiore delle forze armate Usa, auspicando per risolverla in tempi brevi anche l’intervento della NATO? Come già detto, gira e rigira, l’intervento armato (cioè aggiunta di “guerra” alla “guerra”, ma anche con la partecipazione della Nato) è quanto gli Stati Uniti d’America prediligono. Oppure è utile adottare altre soluzioni (sempre “made in USA”) come quella suggerite da David sir1Petraeus, ex direttore della Cia e già al comando delle truppe americane in Iraq e in Afghanistan, di addestrare i qaedisti di Al Nusra contro lo Stato islamico? Secondo la notizia, riportata dal Corriere della Sera, “l’ex capo dell’intelligence sostiene che gli Usa dovrebbero ottenere l’aiuto non di tutta al Nusra ma di quegli elementi meno radicali, ossia coloro che sono entrati nell’organizzazione per rovesciare Assad e non perché credono nell’eredità di Bin Laden. Ribelli moderati, ancora una volta”. Matteo Carnalietto (sul quotidiano Il Giornale del 7 settembre scorso) ha ricordato: “L’America si buttò a capofitto nella guerra civile siriana. Celebri le parole della Clinton: “Selezionare e addestrare ribelli in modo efficace poteva risultare utile su più piani. In primo luogo, anche un gruppo relativamente piccolo avrebbe dato un’enorme spinta psicologica all’opposizione e convinto i sostenitori di Assad a prendere in esame una soluzione politica“. In secondo luogo perché “se l’America si fosse decisa a entrare in gioco, sarebbe stata più efficace nell’isolare gli estremisti e rafforzare i moderati in Siria“. La politica Usa fu un fallimento. I ribelli moderati passarono in massa tra le file dell’Isis, portando con sè armi e addestramento…”.

A conclusione. In un nostro articolo pubblicato qualche giorno addietro riportavamo le dichiarazioni di Putin, che vale la pena riprendere: “…il difetto principale della politica estera occidentale è l’imposizione di proprie norme in tutto il mondo, senza tener conto delle caratteristiche storiche, religiose, nazionali e culturali di particolari regioni”.

Di certo non è aggiungendo benzina al fuoco che si domano le fiamme. Troppi avvoltoi svolazzano sulla Siria: per Bashar al-Assad è pianificato lo stesso destino di Mu’ammar Gheddafi?

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