di Carlo Barbagallo
Ballavano e cantavano in quel corteo per la pace ad Ankara che ha portato solo morte, disperazione e dolore. Basta una levetta, un impulso elettrico e “boom”: come spegnere l’interruttore di una lampadina, ed è subito buio. Non riusciremo mai a capire cosa possa passare per la mente a un “votato al suicidio” con lo scopo di uccidere decine e decine di persone, e ciò in nome di una religione, di un credo o un “ideale” qualsiasi. E non basta definire queste azioni “atto criminale” o “fanatismo”; non basta provare raccapriccio e poi fare colazione, pranzo o cena come se la questione riguardasse altri, e non riguardasse invece tutti. Tutti noi, cosiddetti “esseri umani”. Tutti noi che ormai siamo assuefatti agli scandali, alla corruzione, agli intrallazzi d’ogni tipo, che prendiamo quel che si verifica qua e là, vicino o lontano, come “fatti ineluttabili”, a giustificare la mancanza di soluzioni, l’assenza di proposte concrete per (ri)trovare un equilibrio ragionevole, per riportare la vita nella sua essenza originaria, un “dono” che viene oltraggiato continuamente.
Si uccide perché qualcuno mette un’arma in mano a un altro, pochi si chiedono da dove vengono le armi e chi le fabbrica: come si può pensare di “conquistare” la pace se le fabbriche producono quotidianamente migliaia e migliaia di ordigni letali? Siamo ipocriti, allora? Probabilmente… Se non ci fossero guerre, non si fabbricherebbero armi, se non ci fossero armi (forse) non ci sarebbero guerre. Probabilmente… L’istinto alla distruzione (e non solo all’autodistruzione) è insito nel dna umano? E’ il cane che si morde la coda? Ma perché non si è sinceri, quantomeno con sé stessi?
Questi primi quindici anni del Terzo Millennio sono stati costellati da atti di terrorismo, da New York a Parigi, a Kabul, non ci sono confini alla ferocia dell’uomo. Con l’attacco al Museo Bardo di Tunisi, dove hanno perduto la vita due italiani e quattordici turisti di diversa nazionalità, gli jihadisti hanno dimostrato che possono colpire anche città preparate a fronteggiare azioni criminali di questa natura. La spiegazione può apparire semplice e banale: questi individui sanno che vanno incontro a morte certa, ma per costoro la morte è un “premio” e, di conseguenza, non si preoccupano più di tanto degli altri, tenendo conto che per costoro gli “altri” sono dei miscredenti che è bene eliminare. Ad Ankara verranno chiarite le ragioni della strage, ma ciò non riporterà in vita i giovani che volevano marciare in nome della “pace”: i loro canti si sono spenti, così come (non tanto lentamente) si stanno spegnendo le speranze per un cambiamento. La corsa agli armamenti, infatti, continua, i “ricatti” ai terroristi fruttano e frutteranno sempre più moneta e potere.
Fra qualche giorno quanto accaduto in Turchia verrà dimenticato: qualche altra tragedia, magari in un altro luogo, farà notizia e conquisterà le prime pagine dei giornali. Ogni azione di questo genere provocherà reazioni e altro sangue sarà sparso: la morte non stop la piangerà chi perderà un familiare, un parente, un amico. Ma ai “potenti” poco importerà, proseguiranno nel loro perverso intento, quello di creare sempre più caos, sempre più destabilizzazione.
Bernardo Valli nel luglio scorso su “La Repubblica” scriveva: “Nell’area del Mediterraneo traboccano i conflitti incrociati in corso nelle contrade musulmane. Avevamo l’impressione di vivere in una retrovia vulnerabile e adesso le sempre più frequenti esplosioni di terrorismo ci fanno sentire più vicini al campo di battaglia. Al dramma dei profughi si aggiungono le fiammate di guerre, guerriglie, terrorismi che lacerano il Medio Oriente, dove cambiano le frontiere, e lambiscono paesi sull’altra sponda del Mediterraneo, dove feriscono la Tunisia e travolgono la Libia. Di quei conflitti non si tracciano facilmente i contorni e non si identificano amici e nemici, perché gli schieramenti cambiano secondo i luoghi di scontro. Se non lo esamini con la lente di ingrandimento dell’esperto, e senza il rispetto dovuto a una tragedia umana, hai l’impressione che alle porte dell’Europa sia in corso una mischia micidiale. E che nell’area del Mediterraneo se ne riversino i rigurgiti—“.
Noi ci limitiamo a chiedere: chi provoca questi conflitti? Chi sta animando ormai da anni le guerre che insanguinano questi territori? La risposta? Tutti (non) lo sanno, nessuno lo dice, nessuno (apertamente) lo ammetterà mai…
Così si sono spente le vite di 130 giovani ad Ankara.