di Giovanni Percolla
Quello che si sta chiudendo pare essere davvero un annus horribilis per Confindustria Sicilia. Al netto della presunzione di innocenza, SEMPRE presente nella mente dei garantisti non pelosi, non si può certo dire che l’organizzazione padronale regionale si stagli nell’immaginario comune come una fucina di classe dirigente di qualità. Anzi, verrebbe da dire proprio il contrario.
Sono passati pochi anni in fondo da quando l’allora presidente Lo Bello era il cocco di tutte le testate nazionali come “next big thing” dell’antimafia pura e dura (in salsa imprenditoriale), ma sembrano passate ere geologiche.
Il rapporto con la politica regionale (e dei vari comuni siciliani) non ha certo migliorato il curricola degli sventurati imprenditori che hanno provato a mettere le mani nei verminai burocratici (e non solo) che infestano le stanze del potere. In più la capacità imprenditoriale (e i numeri ad essa legati) ci raccontano di un’isola sempre più allo sbando. In tutto questo contesto, le notizie di giudiziaria sui singoli esponenti ANCHE di Confindustria restano in qualche modo slegati, nelle cronache, dalla loro appartenenza all’associazione, creando un vero e proprio corto circuito informativo. E questo grazie all’improvvisa afasia che ha colto i dirigenti dell’organizzazione negli ultimi mesi, se raffrontata a quanto erano prodighi di consigli antimafia solo fino a pochi anni fa. A questo punto il dubbio sorge: esiste ancora Confindustria in Sicilia? E’ mai esistita? O è stata solo un trampolino di lancio per mirabili carriere fuori dall’isola (ma dentro i centri di potere che contano)?
Piccoli dubbi, certo, ma non di piccola entità se si vuole davvero mettere fine alla contiguità, anche criminale, di una società civile che sia davvero tale e non solo a parole.