RICEVIAMO & PUBBLICHIAMO
GERUSALEMME – Come tutti i fine settimana andai a Damascus Gate per fare la spesa dagli arabi. Mi cambiai, indossai vestiti più comodi e scarpe da ginnastica; non volevo rischiare che nella calca mi pestassero un piede nudo o mi inzaccherassero con qualche spruzzo di acqua sporca. Mi impaludai nel mio enorme foulard e così semi mummificata mi recai al mercato. Il mio verduraio ormai aveva venduto tutto, ero arrivata come al solito troppo tardi, presa dalla ingordigia di sonno del sabato, nell’inutile tentativo di rinfrancarmi dalle fatiche della settimana. E così dovetti trascinarmi fino quasi a Sahaladdin per comprare la mia insalata e qualche altra verdurina. Il solito bottegaio dall’aria ieratica col suo camicione e la barbona nera, non c’era e al suo posto un tipo alquanto sgarbato mi fece pagare non degnandomi neppure di un saluto, quando, raccattando le mie buste, me ne andai. Sembrava tutto tranquillo, un sabato come un altro nella Gerusalemme Est. Le solite bancarelle con le tipiche merci taroccate, i banchetti del cibo locale profumati di spezie e cotti in un olio nero come la pece e le donne che, infagottate nei loro lunghi soprabiti, contrattavano il prezzo con i venditori trascinandosi dietro una varietà di bimbetti. Tutto normale dunque! Tornai indietro, verso la porta di Damasco, affollatissima come sempre, cercando di non farmi calpestare da avventori locali e turisti e sbuffando per il peso delle buste, pensando alla salita che mi attendeva per riguadagnare la strada di casa. Giunta a casa, dopo aver sistemato i miei acquisti, mi distesi sul letto con la voglia di ricominciare a dormire, ma ebbi l’infelice idea di dare un’occhiata a facebook, se mai qualcuno mi avesse scritto.
E mal me ne incorse: un attentato, all’ospizio austriaco, due morti, un ferito, ma che dicono? Ci sono appena passata da li, non ho visto nulla, era tutto tranquillo! Sarà una bufala!
Ma non lo era!
La notizia venne confermata e io mi resi conto che era tutto vero. Cominciarono le telefonate dall’Italia, gli allarmi, le raccomandazioni. Qui tutto “okay” ho dovuto ripetere ad ognuno che chiedeva, al telefono, via facebook, su whatsapp. La frase detta a me stessa e a loro era: “Non vi preoccupate, non è il primo episodio. Domani sarà tutto di nuovo tranquillo. Qui ci si riprende veloce e bene”. Ci si riprende o si va via; ma io resto, mai contemplato l’idea di andare.
La sera ancora non circolavano le foto delle vittime e quindi, come spesso accade le persone che hanno perso la vita sono spersonalizzate, più simili a personaggi televisivi che a esseri umani veri e propri. Forse siamo troppo abituati alla televisione e ai film di violenza per realizzare che quella violenza di cui siamo stati spesso spettatori stia avvenendo sotto casa nostra.
Chi erano le vittime?
Il Rabbino Aharon Benita, di 24 anni, e il Rabbino Nechemia Lavi di 41 anni, morti all’ospedale di Gerusalemme Shaarei Zedek dopo l’aggressione nella città vecchia sabato sera da parte di un terrorista arabo.
L’aggressione è avvenuta verso le 19:30 nel momento in cui la famiglia stava ritornando dal muro occidentale e si stava dirigendo verso la porta dei Leoni attraverso HaGai Street nella città vecchia.
La moglie di Benita, una donna di 22 anni è stata ferita, pugnalata ripetutamente, versava in serie condizioni, mentre il loro bambino di 2 anni era in buone condizioni, nonostante sia stato ferito da un colpo di pistola alla gamba a seguito dell’attacco. La coppia ha anche una figlia di sei mesi che era presente all’aggressione, ma rimasta miracolosamente illesa. Il terrorista arabo che ha compiuto l’attacco è stato Muhanad Halabi, di 19 anni, neutralizzato dalla polizia israeliana. La Jihad islamica palestinese ha rivendicato l’appartenenza del teenager alla propria organizzazione terroristica.
Muhanad aveva ripetutamente pugnalato Lavi, Benitai e la moglie di quest’ultimo. Poi impossessatosi dell’arma di Lavi ha sparato agli altri membri della famiglia. La moglie di Benita, nonostante le ferite, è riuscita ad arrivare dalla polizia per avvisare dell’accaduto. Il terrorista nel frattempo aveva puntato la pistola su di un gruppo vicino di persone che avevano appena completato un tour della zona, per poi essere fermato dalla polizia che lo ha ucciso.
La moglie di Banita ha raccontato sconvolta che, nonostante avesse un coltello conficcato nella schiena, ha cercato di fuggire chiedendo aiuto agli arabi che in quella parte della città vecchia hanno i negozi e questi, invece di aiutarla, le hanno sputato addosso.
Questa la cronaca fatta qui dai giornali, più o meno asettica, più o meno imparziale. Ciò che però sfugge in questi momenti in cui le vittime sono usate come elemento di competizione politica, è che erano civili innocenti che attraversavano un luogo, chiacchierando, pensando alla cena, placando il pianto del neonato affamato e inseguendo il piccolo che sgambettava trotterellando sulle pietre aguzze delle strade della città vecchia. Una scena di normale vita quotidiana di una famiglia qualunque, come ce ne sono tante in tutte le latitudini. Proprio per questo la violenza dell’attacco terroristico appare esecrabile più di ogni cosa, perché ha colpito, subdolamente, immotivatamente civili indifesi.
Pensare che sabato 1 ottobre si sono svegliati in una casa, un ragazzo di 19 anni con l’intento di porre fine a delle vite umane, quali che fossero, e in un’altra, a poca distanza, le vittime designate dal destino, è raccapricciante.
La sera e per tutta la notte le sirene suonarono e gli elicotteri continuarono a svolazzare sulla città vecchia in una surreale atmosfera di silenzio tombale.
Andai a letto, non spaventata, ma turbata, pensando a chi aveva perso la vita inaspettatamente, passando per una strada piuttosto che un’altra. Semplicemente scegliendo una direzione e non un’altra, qualcuno aveva incrociato la morte per via del pensiero omicida di un altro essere umano.
Per poco non era toccato a me. Avrei lasciato solo una pagina bianca a testimoniare la mia morte. Che magra eredità.
Egeria Pellegrina