di Salvo Barbagallo
Dalla Catalogna spira forte il vento d’Indipendenza, fa fibrillare i Palazzi di Madrid e le roccaforti del potere europeo. Si spinge lontano questo vento originato dall’instancabile sentimento d’Indipendenza che anima la maggior parte dei Catalani, giunge fino in Italia facendo rinascere le speranze dei Sardi, ma non valica lo Stretto di Messina: la Sicilia appare lontana, lontanissimi i Siciliani scettici e quasi amorfi nell’osservare quanto accade sul Continente. Eppure la lezione della Catalogna dovrebbe insegnare qualcosa ai Siciliani, all’Italia (non soltanto all’Europa), dovrebbe insegnare qualcosa all’attuale premier Matteo Renzi: il troppo accentramento centrale dei “poteri” (soprattutto burocratici) può risvegliare sopite aspirazioni di “separazione”, aspirazioni rimaste fino ad oggi fin troppo addormentate. Il premier italiano vede ancora la “sua” Terra come una “nazione” immaginaria, rimandando il pensiero (inevitabilmente, con il suo modo di gestire la Cosa pubblica) a tempi e uomini che si vorrebbero veramente dimenticare.
Dalla “Padania”, al Veneto, alla Sicilia potrebbero ripartire spinte impensabili in questo momento, spinte che potrebbero diventare, da un momento all’altro, possibili se apparissero sulla scena leader credibili e affidabili. Un pericolo o una speranza? A seconda dei punti di vista, ma poiché non giungono alle “periferie” regionali concrete risposte politiche centrali alle crescenti esigenze, ma solo abusi e segnali di perenni corruzioni (a tutti i livelli), la strada della secessione prima o poi sarà imboccata. Un fatto inevitabile, se chi governa il Paese Italia non prende consapevolezza dei rischi che si corrono e non opera (in fretta) per riequilibrare gli scompensi esistenziali che ha provocato nella collettività nazionale. Queste spinte attualmente vengono dalla Sardegna, dove – come ha scritto ieri martedì 10 novembre sull’online del quotidiano La stampa – il caso della Catalogna che ieri ha avviato il processo di indipendenza ha rinfocolato quelle fiamme mai spente di un indipendentismo atavico, sentito adesso come necessario. “La causa della Catalogna -dice il deputato sardo del partito indipendentista Unidos, Mauro Pili – è uguale a quella della Sardegna. L’autodeterminazione dei popoli è un diritto/principio inviolabile. Per questo motivo Unidos incontrerà già nei prossimi giorni i rappresentanti del governo della Catalogna per intraprendere una strategia unitaria per la difesa dell’autodeterminazione dei popoli (…) I Sardi come i Catalani devono essere liberi di decidere se stare o non stare negli Stati in cui sono stati relegati. L’autodeterminazione dei Popoli è un principio e un diritto che né gli Stati, né l’Europa possono negare”.
In Sicilia i mille gruppuscoli indipendentisti non riescono ad aggregarsi, vanificando la loro potenziale energia in folkloristiche diatribe, affiancando le loro sporadiche iniziative a questa o a quella compagine politica che promette ciò che non può dare.
Scrivevamo su questo giornale alla fine del settembre scorso: “ ….Non solo la lezione offerta dalla Catalogna, ma l’esempio della storia passata e presente della Sicilia (cioè Terra nostra) dovrebbe costituire un campanello d’allarme costante per chi governa l’Italia. Forse il quarantenne fiorentino Matteo Renzi la “storia” della Sicilia non la conosce (e chi avrebbe dovuta insegnargliela, d’altro canto?), ma il settantaquattrenne Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Siciliano di Palermo) la storia di Casa sua dovrebbe conoscerla fino in fondo e dovrebbe tenerla sempre in mente. Il Capo dello Stato dovrebbe ben rammentare cosa è stato il Movimento Indipendentista Siciliano, nato nei primi Anni Quaranta come spinta contraria al Regime di Mussolini, e quale forza avesse prima di essere “eliminato” scientificamente, agli albori della nuova Repubblica Italiana, con il compromesso-truffa dell’Autonomia Speciale. Il Capo dello Stato Sergio Mattarella sa bene che i proconsoli di Roma, i presidenti della Regione Siciliana a Statuto Speciale che si sono succeduti nei decenni, non hanno mai applicato le norme dell’Autonomia perché quello era il “patto” non scritto dallo Stato con i politici di quel tempo e di quelli che sono venuti dopo…”.
Troppa sicurezza in chi governa il Paese-Italia, troppa arroganza che porta a sottovalutare una realtà sociale in disfacimento, convinti forse che è proprio quel “disfacimento” che produce mancate (ma possibili) reazioni. Laura Succi con il suo reportage su La Stampa, però, mette in evidenza fatti nuovi in Sardegna: “Che qualcosa si stesse muovendo sull’isola si era capito già da qualche settimana. Una recente ricerca condotta dall’Università di Cagliari contemporaneamente a quelle di Edimburgo e della Catalogna, rivela che nove sardi su dieci vorrebbero un governo locale con più poteri di quelli attuali e che circa il 40 per cento coltiva sentimenti di indipendenza. «Questi dati rivelano un forte sentimento di identità – spiega il presidente della Regione, Francesco Pigliaru (Pd) – oltreché la necessità di uno Statuto con più regole specifiche che principi. È comunque ormai un patrimonio comune la richiesta di maggiore autogoverno dell’Isola».
Il modus operandi della Catalogna non è soltanto una “lezione”, ma un esempio che potrebbe essere seguito da una Sicilia che già gode (sulla carta) di uno Statuto Speciale: il Parlamento di Barcellona ha approvato una mozione nella quale dichiara l’inizio del processo verso la costituzione di uno «stato indipendente» catalano «sotto forma di Repubblica», aprendo una grave crisi con il governo spagnolo. La mozione è stata approvata con i 72 voti della maggioranza indipendentista, contro i 63 degli altri partiti. La forza del premier Matteo Renzi, però, sta proprio in ciò che è il Parlamento Siciliano (l’ARS): una compagine di (cosiddetti) rappresentanti della collettività che non ha alcun interesse a cambiare lo stato delle cose. Per i parlamentari siciliani la situazione attuale della Sicilia sta proprio bene, come un vestito fatto su misura. I parlamentari siciliani non hanno alcun motivo a porsi in contrasto con chi governa sul piano nazionale.