Mafia Capitale: toh, riaffiora il “Caso Castiglione”…

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di Salvo Barbagallo

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Da tempo sosteniamo che il termine “mafia” è “superato” e risulta inadeguato e fuorviante per descrivere correttamente la situazione anomala che caratterizza l’Italia di oggi e degli ultimi anni. Non sapremmo indicare quale “termine” possa essere adatto per indicare la trasformazione di un sistema criminale al cui interno convergono tante e tante componenti, da quella politica a quella imprenditoriale, da quella di alto profilo a quella di più basso livello. A nostro avviso (ma potremmo essere in errore) la parola “mafia” rimanda a una condizione storica che non esiste più, a una condizione storica che può (o dovrebbe) essere considerata soltanto come “origine”, come “radice” di un albero secolare sul quale sono state innescate ramificazioni che con il passato nulla hanno a che vedere. Quest’albero (a nostro avviso, ma potremmo essere in errore) oggi rappresenta il sistema di un potere complesso che trova la sua linfa vitale nella predisposizione (di pochi o di molti) all’accaparramento e nel controllo di un’economia (quella del Paese) per trarne profitti personali o di casta. Un sistema che è andato automodificandosi negli anni, adattandosi alle condizioni di una società che ha perso i suoi reali punti di riferimento e i valori che la caratterizzavano. Un sistema che rifugge (almeno in apparenza) le metodologie tipiche della “mafia” conosciuta e riconosciuta come tale, ma usa strumenti (sofisticati o rozzi, poca importanza ha) che sfociano conseguenzialmente nella corruzione che diventa la leva principale per raggiungere obbiettivi illeciti.

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Giuseppe Castiglione e Angelino AlfanoOvviamente questa può apparire un’analisi superficiale, e non potrebbe essere diversamente: nella sua complessità, la questione presenta tanti e tanti aspetti che si prestano a svariate interpretazioni ma tutte, comunque (sempre a nostro avviso, e potremmo essere in errore) lontane dal fenomeno nato nel lontano Sud del Continente. In questo scenario i personaggi che, prima o poi, vengono alla ribalta quali protagonisti del sistema (primari, comprimari, o semplici comparse) non possono essere più identificati come provenienti da un territorio specifico del Paese, in quanto vengono espressi in tutte le regioni  Paese.

E (ovviamente) parliamo di ciò che è “esclusivo italiano”, cioè non collegato con sistemi di potere similari di portata internazionale. Il processo appena apertosi su Mafia Capitale potrebbe essere una dimostrazione di quanto sosteniamo.

Il Centro d'accoglienza profughi di MineoEd ecco proprio nell’occasione di questo processo-chiave, come scrive Sergio Rame sul quotidiano Il Giornale di due giorni addietro (5 novembre), riapparire il nome del sottosegretario siciliano Giuseppe Castiglione. Titola e scrive Sergio Rame: Colpo di scena nei verbali di Mafia Capitale. Odevaine inguaia il big di Ncd: “Il sottosegretario Castiglione nel patto degli affari sul Cara (…)  Nei verbali degli interrogatori di Luca Odevaine viene, infatti, tirato nuovamente in ballo il sottosegretario all’Agricoltura di Ncd Giuseppe Castiglione. Come riporta Repubblica, l’uomo chiave del processo, che si è aperto oggi a Roma su Mafia Capitale, ha spiegato ai magistrati come funzionava l’accordo di cartello tra la cooperativa rossa “29 giugno” di Salvatore Buzzi e la cooperativa bianca “La Cascina” per la spartirsi gli appalti del Cara di Mineo. Nell’interrogatorio Odevaine non solo ammette di aver ricevuto denaro dalla Cascina, ma spiega anche che quel denaro era “funzionale a pilotare la gara per l’affidamento della gestione del Cara di Mineo della cui commissione aggiudicatrice faceva parte”. E questo con la piena consapevolezza di Castiglione che, al tempo, presiedeva la Provincia di Catania. Quello che emerge dalle carte delle procure di Roma e Catania è, appunto, “una spartizione aritmetica degli appalti” tra cooperative rosse e bianche per fare soldi con il business dell’accoglienza…”.

Gira e rigira sembra essere, sempre e costantemente, una questione di accaparramenti di natura economica. Di affari, cioè. Se, poi, alla base o nell’insieme ci siano interessi di altro tipo, dovranno essere messi in luce nel corso delle 130 udienze già programmate nel processo romano.

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