Al Sud i giovani non credono più alla laurea

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di Carlo Barbagallo

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Preoccupante il Rapporto 2015 della Fondazione Res “Nuovi divari. Un’indagine sulle Università del Nord e del Sud”: il trenta per cento dei diplomati non si indirizza agli studi universitari. Secondo i ricercatori rispetto al momento di massima espansione nel 2008 la tendenza alla contrazione ha raggiunto attualmente la fase più critica: gli studenti immatricolati si sono ridotti di oltre 66mila (meno venti per cento); i docenti sono scesi a meno di 52mila (-17 per cento); il personale tecnico amministrativo a 59mila (-18 per cento); i corsi di studio a 4.628 (-18 per cento). Della gran massa di giovani che non si iscrivono più a un corso di laurea, oltre il 50 per cento diserta le università del Mezzogiorno: (37 mila matricole in meno dal 2003 al 2014). Maggiore, nel Meridione, la quota di studenti che abbandona gli studi universitari dopo il primo anno (il 17,5 per cento al Sud, contro il 12,6 per cento al Nord e il 15,1 per cento al Centro), il 30 per cento degli immatricolati meridionali si iscrivono in università del Centro-Nord.

uni1Francesca Puglisi, responsabile Scuola, Università e Ricerca del Pd, attribuisce la responsabilità della situazione che si è venuta a creare alle Regioni e afferma: “Sono le Regioni che secondo la riforma costituzionale dovranno promuovere il diritto allo studio. Le Regioni devono fare la loro parte (…) Dopo anni di tagli nella legge di stabilità in discussione alla Camera dei deputati, il Governo Renzi torna ad investire nell’Università e nel diritto allo studio. È vero, come argomenta la Fondazione Res i divari che attraversano il Paese nascono anche dalla diversa attenzione che le Regioni del centro nord tradizionalmente hanno dedicato all’istruzione, all’innovazione e al diritto allo studio. Oggi il Governo aumenta di 50 milioni di euro il diritto allo studio perché tutti i capaci e meritevoli privi di mezzi possano accedere ai più alti gradi di istruzione, sblocca la possibilità di assumere giovani ricercatori a tempo determinato e realizza un piano straordinario di assunzioni di 1000 ricercatori…”.

uni2Il ping pong delle responsabilità non ha mai fine, le principali cause della fuga dagli atenei si ricerca nella mancanza di mezzi e docenti, nella insufficienza degli investimenti, nella carenza di borse di studio, ma non si va alla ricerca della vera radice del problema: i giovani ormai non credono al titolo di studio perché non procura “lavoro”, perché le stesse (e poche) aziende che assumono giovani offrono un “sotto-lavoro” mal retribuito, e non vedono di buon occhio chi presenta un curriculum basato sui titoli di “studio” e non sulla “esperienza” professionale. Ed è il cane che si morde la coda, perché se, alla fine, non si assumono laureati (e magari diplomati) i giovani l’esperienza lavorativa non la potranno mai fare.

uniLinda Laura Sabbadini, direttore dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat, presentando il Rapporto “Benessere equo e sostenibile” ha affermato: “Le reti sociali, che hanno rappresentato un importante riferimento nella crisi, migliorano. Però tra Nord e Sud c’è una situazione speculare, in particolare rispetto al lavoro: il Sud si colloca ai livelli più bassi e con una dinamica peggiore per il lavoro, e la forbice è aumentata in questi anni, sia per la qualità che per la quantità del lavoro”. Come abbiamo avuto già modo di annotare, più che i numeri, parla chiaramente la situazione che vive la Sicilia, e che sia stata l’Istat a confermare lo stato di grande disagio che oscura le prospettive del sud del Paese non conforta. Un disagio che brucia sulla pelle dei giovani ai quali manca una prospettiva, con la sola certezza di una disoccupazione che domina incontrastata. Non c’è lavoro, per i giovani: quando trovano una occupazione è sottopagata e in nero. Ma questo le fredde statistiche non lo dicono, anche se registrano che “aumenta il reddito, ma non per tutti” che. “la povertà non si riduce” e che “per i più poveri non ci sono miglioramenti” e “il disagio delle persone con gravi difficoltà economiche non si attenua, e la ripresa non raggiunge le famiglie in situazioni di grave deprivazione materiale”.

Ora la conferma che i giovani si tengono lontano dagli atenei: non c’è da meravigliarsi e qualora si volesse porre un freno all’aggravarsi dello stato delle cose, passeranno anni e anni prima che i giovani riacquistino fiducia negli studi. Nel contempo i giovani non saranno più giovani…

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