di Salvo Barbagallo
Quanto valgono le parole (dette o scritte) al giorno d’oggi? Se le pronunciano i “grandi” (i “potenti”, cioè), hanno un peso (anche se, alla fine, non valgono niente lo stesso), se le pronunciano gli “ignoti” (cioè la cosiddetta gente comune), sono buttate al vento (che non le raccoglie). A nostro avviso (ma, come al solito, possiamo essere in errore) la situazione che si presenta sotto gli occhi (e le orecchie) di tutti mostra potenti e ignoti allo stesso livello: tutti, nel parlare, concordi sulla necessità di estirpare il cancro del terrorismo jihadista, ma nei fatti poco o nulla di veramente concreto (stante ai risultati). Di parole, appunto, a milioni. Soltanto pronunciamenti, e in questo campo si fa a gara per il primato. Da questo punto di vista anche l’Italia occupa il suo posto in classifica.
In verità, a volere osservare con attenzione, l’unica potenza che sembra muoversi con decisione appare (ma, al solito potremmo essere in errore) la Russia: è come se Putin si ponesse come “solitario” baluardo al jihadismo terroristico, agendo di conseguenza. “Solitario” perché alle parole contrappone azioni (giuste o sbagliate che siano, lo dirà il tempo). Ovviamente il leader russo ha chiesto “collaborazione” nella lotta al Daesh/Isis, ma gli altri soggetti in campo (dagli USA alla Gran Bretagna, alla Francia, alla Turchia, eccetera) vanno avanti con strategie diverse, spesso contrastanti, salvo poi criticare apertamente Putin per quel che fa. Come riporta il Corriere della Sera, ieri (9 dicembre)
La Russia ha confermato di aver usato un sottomarino schierato nel Mediterraneo per colpire obiettivi in Siria nell’ambito della sua campagna militare a sostegno del regime di Bashar al-Assad. Le agenzie russe hanno riferito che il ministro della Difesa, Serghei Shoigu, ha comunicato al presidente Vladimir Putin che il sottomarino Rostov ha lanciato missili da crociera Calibre contro «due bastioni terroristici» attorno a Raqqa, la capitale del sedicente califfato dell’Isis. Discutendo dell’operazione militare in Siria con il ministro della Difesa russo, Serghiei Shoigu, il leader del Cremlino ha dichiarato: i missili Calibre e i razzi da crociera A-101 «possono essere armati sia con testate convenzionali sia con testate speciali, cioè quelle nucleari. Certamente nulla di questo è necessario nella lotta ai terroristi, e spero che non sarà mai necessario».
Niente è necessario, tutto può tornare utile: dunque, c’è ora anche il timore (o la possibilità?) che possa essere sganciato qualche ordigno nucleare. Di bene in meglio! Con grande perspicacia, comunque, Putin prima dell’attacco ha informato gli Stati Uniti: lo ha reso noto lo stesso portavoce del Pentagono, Peter Cook, che ha dichiarato “lo abbiamo apprezzato”, ricordando che Mosca aveva il dovere di fornire questa informazione sulla base del memorandum d’intesa firmato con Washington per evitare incidenti nei cieli della Siria. Insomma, a Putin sta rimanendo il delicato compito di cercare di arginare l’espansione del Califfato nero, con mezzi e strumenti che possono apparire opportuni (almeno al momento).
Forse, a conclusione, gli attacchi (aerei e missilistici) provocheranno soltanto (o in gran parte) vittime innocenti, e non riusciranno a estirpare il cancro dei militanti del terrore jihadista, tenuto conto anche che viene alimentato da sconsiderati occidentali che ne ingrossano le fila. Come informa Guido Olimpio (sempre ieri sul Corriere della Sera) gli jihadisti stranieri unitisi all’Isis in Siria e Iraq sono raddoppiati. Un rapporto del centro studi statunitense Soufan Group afferma che sarebbero quasi 30 mila, in rappresentanza di 86 paesi (…) è la Tunisia a fornire il contingente maggiore con 6 mila estremisti, il doppio rispetto al 2014. Una presenza che non è certo una novità in quanto i tunisini hanno sempre rappresentato un componente formidabile prima con al Qaeda, quindi con l’Isis. A seguire l’Arabia Saudita con 2.500, la Russia con 2.400, la Turchia con 2.100 e la Giordana con 2.000. Dall’Europa sono invece partiti non meno di 5 mila estremisti. La “colonia” più grande è quella francese con 1.700 elementi, poi tedeschi e britannici (circa 700), a chiudere i 470 del Belgio. E l’Italia? Lo studio stima in 87 gli affiliati unitisi ai loro compagni nel teatro siro-iracheno: 10 di loro sarebbero rientrati (…). Sul piano economico, invece, il movimento del Califfo può contare su 80 milioni di dollari di introiti mensili grazie ad un sistema di tassazione ferreo, unito all’estorsione e al traffico di petrolio. Cifre fornite, questa volta, dall’IHS che ha condotto un’analisi delle attività commerciali sul terreno.
Osservando lo scenario che si presenta sotto gli occhi di tutti, è come dire che ci troviamo sull’orlo del baratro. Però questo non si deve dire, così come non si deve pronunciare la parola “guerra”. Poi ogni soggetto interessato si accredita lo show che più gli è congeniale.