Il futuro della Libia riguarda anche la Sicilia

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di Salvo Barbagallo

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Il 27 dicembre scorso sul quotidiano La Stampa Guido Ruotolo scriveva: “Lunedì sera hanno sparato fuochi d’artificio per tutta la notte. Tripoli era in festa dopo tanti anni. Serata emozionante, racconta chi l’ha vissuta. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva appena dato il via libera all’accordo di Skhirat, in Marocco. Adesso è come se la Libia vivesse sospesa nel tempo. In attesa che il presidente incaricato Faiez Serraj prenda possesso di Tripoli, inizi a governare, a mettere in moto la macchina della speranza. In Libia continuano ad arrivare segnali di guerra. Francesi e americani vogliono attaccare subito Sirte, la roccaforte dei jihadisti del Daesh, che si stanno rafforzando e che adesso che si avvicina la resa dei conti potrebbe attrarre migliaia di foreign fighters marocchini, tunisini e libici. A due settimane di distanza, dopo gli accordi per un nuovo governo di unità nazionale in grado di porre fine agli scontri civili, il “caso Libia” sembra essere passato in secondo piano: altri eventi che tengono in apprensione il mondo sono venuti alla ribalta. Pochi giorni addietro l’uccisione dell’imam Nimr al Nimr ha innescato una nuova polveriera tra Iran e Arabia Saudita, martedì scorso (5 gennaio) la Corea del Nord ha suscitato allarme ovunque dopo aver testato una bomba all’idrogeno un’arma per difendersi contro gli Stati Uniti e gli altri suoi nemici, come ha minacciato il leader nordcoreano Kim-Jon un. Terrorismo jihadista, Libia, migranti/profughi, dunque, problemi anche se non dimenticati sono, sui mass media, per il momento a un livello più secondario.

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Combattimenti alle porte di Tripoli
Combattimenti alle porte di Tripoli

Il destino, il futuro della Libia riguarda da vicino la Sicilia, e non solo per una questione di “distanza”. In passato i rapporti commerciali e culturali Libia-Sicilia erano reciproci, dopo la fine di Gheddafi praticamente si sono interrotti. La situazione che si è venuta a creare oggi dovrebbe essere attenzionata. Andrea Indini sul quotidiano Il Giornale lunedì scorso (4 gennaio) ha scritto: “Nel giro di poche settimane un migliaio di soldati inglesi, tra cui 200 operatori della Sas, sbarcheranno per arginare l’avanzata dello Stato islamico. Come anticipa il Mirror l’operazione coinvolgerà circa seimila soldati, truppe scelte composte da marine americani e soldati della Legione straniera. “La forza sarà guidata dagli italiani – si legge sul quotidiano britannico – il contingente sarà in prevalenza formato da soldati inglesi, francesi ed americani”.” Il conflitto contro i tagliagole del Califfato nero si allarga dalla Siria alla Libia. Dall’Inghilterra, come fa trapelare il sito Difesa Online, viene confermato il ruolo di comando degli italiani il cui ruolo, però, sarà limitato alla semplice coordinazione delle truppe sul campo… In questa prevista circostanza appare ovvio che il trampolino di lancio per questa programmata iniziativa militare sarà la Sicilia: volente o nolente, l’Isola resta pertanto l’avamposto avanzato delle forze militari dell’Alleanza, con tutte le ripercussioni che possono essere messe in conto.

E quindi il problema migranti/profughi che, in un modo o in un altro, è legato alla Libia e alla Sicilia. Come ha scritto Riccardo Perissich su Aspenia poco tempo addietro, “Il pericolo più grave che corre l’unità degli europei è il legame che inevitabilmente si stabilisce fra la minaccia terrorista e la crisi migratoria. Che fra le centinaia di migliaia di rifugiati che premono alle nostre porte si possa infiltrare qualche terrorista, è un pericolo reale. Bisognerà sicuramente rafforzare i controlli, ma ciò non deve farci dimenticare che il nemico è già in casa; la maggior parte dei terroristi sono nati e cresciuti qui. Tuttavia la demagogia rischia di far presa. Quella di accordarsi su una comune politica migratoria è forse la sfida più difficile da quando esiste l’UE. Se questo sforzo fallisse, nessun paese membro a livello nazionale riuscirebbe magicamente a fermare l’ondata migratoria, ma potrebbe intanto frantumarsi l’Europa, con gravissime conseguenze anche per la volontà di collaborare sul fronte della sicurezza. Esattamente ciò che vuole il nemico”.

Gli avvenimenti verificatisi negli ultimi giorni costituiscono ulteriore riprova di quanto affermato.

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