Al solito: tutto pronto, tutto fermo contro l’Isis in Libia

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di Salvo Barbagallo

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Ismail Shukri, capo dei servizi di Misurata, in una intervista alla televisione inglese Bbc, nella città libica è in fase di organizzazione un nuovo nucleo dirigente del Califfato jihadista e molti personaggi importanti si stanno trasferendo lì dalla Siria, e già Migliaia di combattenti stranieri sono arrivati dalla Tunisia, dall’Algeria, dall’Egitto, dal Sudan ma anche dalla Siria e dall’Iraq. Fra quest’ultimi gli ex ufficiali islamisti del partito Baath di Saddam Hussein, diventati dirigenti dello Stato islamico. L’Isis ha preso il controllo di Misurata un anno addietro e. le stime sulle sue forze variano, ma l’entità dovrebbe essere attorno ai diecimila uomini. Secondo Shukri molti comandanti di alto livello dell’Isis si sentono più sicuri in Libia che in Siria o Iraq, dove i raid aerei li mettono sotto pressione: Per loro la Libia è un porto sicuro. Altre fonti libiche parlano di rinforzi jihadisti anche sda Sud, dalla Nigeria attraverso il Niger. Una situazione in continua evoluzione che si aggrava ogni giorno che passa.

isissIn questa condizione i Paesi della coalizione anti-Isis restano fermi in attesa che in Libia si formi un governo e che il futuro governo chieda ufficialmente “aiuto” per fronteggiare la minaccia e l’avanzata jihadista. L’interesse della coalizione appare evidente, tenuto conto che dalle ultime settimane l’Isis sta conducendo una pericolosa offensiva contro le installazioni petrolifere che vanno da Sidra, a Est di Sirte, fino Zuetina, a Sud di Bengasi.

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Guido Ruotolo sul quotidiano La Stampa del 21 gennaio scorso scriveva: Le intelligence e le truppe speciali alleate sono già in Libia, a Bengasi e a Misurata, le due città chiave (insieme a Zintan) per qualsiasi offensiva libica contro l’Isis, che occupa Sirte, la città di Muammar Gheddafi, e che è presente a Derna, Bengasi, l’area dei terminal petroliferi della Cirenaica (da Sydra a Ras Lanuf). E poi a Sabratha e nella stessa capitale Tripoli. Gli 007 francesi, inglesi e americani stanno lavorando per pianificare un’offensiva militare degli alleati. E secondo indiscrezioni che circolano negli ambienti diplomatici sarebbero presenti in Libia anche reparti speciali inglesi. Così come, riferiscono ambienti militari, reparti ad hoc americani sono presenti a Tripoli. Come dire: è tutto pronto, ma se non c’è un “ok” dei responsabili libici, un’operazione militare non può essere messa in moto.

Infatti, quando viene richiesto un “aiuto” anche l’Italia si mette in azione, così come è accaduto l’11 gennaio scorso quando alle prime luci dell’alba un C-130 dell’Aeronautica militare si è alzato in volo dall’aeroporto di Pratica di Mare, per una missione umanitaria (la “prima” missione italiana) diretto in Libia per soccorrere 15 feriti, tutti delle tribù di Misurata, vittime dell’attacco terroristico dell’Isis a una scuola di polizia a Zlitan. A bordo del velivolo militare 20 fra medici e infermieri oltre al personale di sicurezza del Ministro dell’Interno. Il convoglio con i medici italiani raggiunge l’ospedale di Misurata, prende i quindici feriti in grado di poter affrontare il viaggio e quindi torna in aeroporto per imbarcarsi dul C-130 e fare rientro a Roma-Ciampino. I feriti vengono portati all’ospedale militare del Celio, nella Capitale.

Ecco, questo è il “tipo” di intervento che l’Italia preferirebbe effettuare in Libia piuttosto che scendere in campo “bellicamente” contro le forze jihadiste. Probabilmente, se operazione militare della coalizione scatterà, l’intervento umanitario italiano dovrà passare per le armi. In special modo se l’Italia vorrà mantenere una leadership sui Paesi della coalizione. E forse è ciò che (in privato) ha discusso il sottosegretario di Stato USA a Roma John Kerry con il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni dopo la riunione della Coalizione anti-Isis, specificando che “questa guerra sarà di lungo periodo”.

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