di Carlo Barbagallo
“Gela vuole vivere”, ma a Roma nessuno l’ascolta, chi governa il Paese in questo momento, nei giorni scorsi e nei prossimi giorni, ha altre problematiche sul tavolo che ritiene più urgenti da affrontare. La Sicilia è distante, il Ponte non c’è e quasi sicuramente non ci sarà: le promesse di Alfano e dello stesso premier dimenticate e sommerse da altre promesse. Pensare a Gela, rispondere alla sua protesta che continua da settimane significherebbe distogliere l’attenzione da “scontri” più diretti, come quelli che riguardano le cosiddette unioni civili. Lo abbiamo scritto e ripetiamo le stesse parole perché il tempo trascorso dall’inizio delle manifestazioni non ha cambiato nulla: non fa presa sui principali mass media nazionali la protesta dei tremila dipendenti della raffineria Eni di Gela: è una rabbia che non trova riscontro, neanche da parte dei massimi organi governativi, né dei sottomessi responsabili regionali. E ciò nonostante che siano stati fermati tutti i pozzi petroliferi e ridotta la fornitura del gasdotto libico “Greenstream”. La protesta è forte, il motivo “semplice”: la paventata chiusura della raffineria e la lunga e stressante attesa per la riconversione degli impianti in “green refinery”. Da anni i lavoratori di Gela attendono l’avvio degli investimenti reclamizzati che avrebbero dovuto garantire lavoro e bonifiche in base al protocollo d’intesa sulla riconversione della raffineria. Fermi da oltre due anni ed esauriti tutti gli ammortizzatori, i lavoratori delle imprese appaltatrici ora rischiano il licenziamento perché non sono stati mai aperti i cantieri concordati con il protocollo d’intesa del novembre 2014, che avrebbero dovuto realizzare opere per 2,2 miliardi di euro in Sicilia.
Cosa fare in una situazione simile?
Nei giorni scorsi il vescovo di Piazza Armerina, Rosario Gisana ha incontrato i lavoratori del Petrolchimico che hanno formato un blocco stradale a Ponte Olivo, sulla Gela-Catania, nei pressi della sede direzionale di Enimed: “Sono qui su mandato di Papa Francesco. Gli ho parlato più volte di voi e mi ha sempre detto: stai vicino a loro. Vi assicuro che nelle quattro volte che ho incontrato Papa Francesco gli ho sempre parlato dei problemi dei lavoratori di Gela, che non sono di oggi ma che si trascinano da tempo, e tutte le volte mi ha detto di stare vicino a voi”, ha detto il vescovo. Purtroppo la vicinanza alle tematiche dei lavoratori espressa dallo stesso Pontefice non è bastata a smuovere le acque e dentro i Palazzi governativi si preferisce non ascoltare gli appelli.
Ora Cgil, Cisl e Uil mettono in campo una nuova iniziativa: al premier Matteo Renzi centomila cartoline saranno spedite per sollecitarlo a trovare una soluzione per la “vertenza Gela”. Cartoline con un finto francobollo tricolore, in cui la città rivendica “salute e lavoro”, accompagnate da due messaggi molto espliciti: “Gela vuole vivere!” e l’hashtag “#matteocambiaverso”, parafrasi del motto elettorale renziano l’Italia “#cambiaverso”. L’iniziativa sindacale delle cartoline-appello parte dopo oltre 15 giorni di mobilitazione dei lavoratori del petrolchimico Eni, che continueranno a mantenere i blocchi alle principali vie di comunicazione del territorio. Blocchi che inevitabilmente stanno provocando rallentamenti nel traffico veicolare, creando disagi a studenti, pendolari, automobilisti, mezzi pesanti per via delle lunghe code nelle strade di collegamento più importanti. Sindacati, lavoratori e cittadini sono intenzionati a proseguire la battaglia a oltranza, sostenendo che la protesta non cesserà fino a quando non si avranno certezze sull’avvio dei cantieri e sull’erogazione di investimenti che siano in grado di restituire serenità a centinaia di famiglie.