Di Carlo Barbagallo
Gli accordi tra Unione Europea e Turchia freneranno ma non potranno interrompere il flusso di fuggitivi che cercheranno di raggiungere le loro mete sperate, dall’Italia, alla Germania, all’Inghilterra. La Sicilia, soprattutto con le condizioni climatiche favorevoli di primavera/estate, sarà come lo è stato in precedenza, uno dei nodi primari di arrivo dei barconi di migranti. Profughi che principalmente salperanno dalla Libia sui fatiscenti barconi e sui gommoni organizzati dal trafficanti di esseri umani. E l’allarme lo lancia l’italiana Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera europea, con una lettera indirizzata ai ministri europei dell’UE: Ben 450 mila migranti sono pronti a partire dalla Libia direzione Europa. Dal vertice tenuto a Bruxelles è emerso chiaramente l’Europa non può dedicarsi a chiudere la rotta a est senza pensare contemporaneamente a quella che potrebbe aprirsi a sud: dall’Africa verso l’area sub-sahariana e poi Libia, Tunisia ed Egitto verso l’Europa, più precisamente verso l’Italia e, quindi, la Sicilia. Ed è, e sarà per i prossimi mesi, la Libia il punto focale di una situazione che ancora non trova soluzioni definitive e adeguate, la Libia ancora senza un governo in grado di potere gestire i problemi interni, anche se con l’aiuto dei Paesi di una Coalizione internazionale che, fino a poco settimane addietro, si dichiarava pronta a intervenire militarmente.
Senza un governo che possa operare rimangono sul tavolo ipotesi, così come si sta verificando: c’è, infatti, chi suggerisce che la missione “Eubam Libia” possa agire per il controllo dei confini in accordo con le autorità locali, c’è chi sostiene di adoperare la missione navale europea “Eunav Formed” per addestrare la guardia costiera libica in collaborazione con le municipalità della costa, c’è chi ritiene opportuno inviare la polizia europea in territorio libico per collaborare con le autorità. Solo ipotesi che non possono trasformarsi in realtà fino a quando, appunto, non c’è un governo esecutivo libico nella pienezza delle sue funzioni. Dunque l’accordo (con molti chiaroscuri) concluso con la Turchia ha lasciato “aperto” il fronte sud, per non parlare delle incognite che può rappresentare l’Albania, altro “varco” per i fuggitivi verso l’Europa, come prima tappa l’Italia.
L’ipotesi di un intervento militare in Libia per fronteggiare la costante avanzata delle forze del Califfato jihadista momentaneamente sembra essere stato posto in frigorifero, e le ragioni sono tante. Alcune di queste “ragioni” le ha sottolineate il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi che ha messo in guardia l’Italia, attraverso un’intervista rilasciata giorni addietro al quotidiano La Repubblica: Voglio essere molto sincero, perché l’Italia è un paese amico dell’Egitto ed entrambi siamo molto interessati alla sicurezza nel Mediterraneo (…) Prima di tutto bisogna chiedersi: qual è la exit-strategy? E in ogni caso è molto importante che ogni iniziativa italiana, europea o internazionale avvenga su richiesta libica e sotto il mandato delle Nazioni Unite e della Lega Araba (…) Un eventuale intervento rischia di portarci in una situazione che può sfuggire di mano e provocare sviluppi incontrollabili (…).
Quindi una stagnazione operativa per quanto riguarda misure per bloccare il Califfato jihadista, ma stagnazione (anche “preventiva”) per adottare azioni tendenti se non a bloccare il flusso dei migranti provenienti dalla Libia, quantomeno per “controllarle” ed evitare contemporaneamente ulteriori perdite di vite umane nelle acque del Mediterraneo. In Sicilia non si discute su questo stato di cose, sul piano nazionale (sempre per prevenzione) non risulta che vengano studiati piani ammortizzatori per una possibile condizione di collasso, quando quel flusso di mezzo milone di profughi incomincerà ad imbarcarsi per raggiungere le coste siciliane.
Tutto ciò non ci sembra normale…