di Luigi Asero
Le strade di Sicilia sono ormai la rappresentazione della “fuga” dei siciliani stessi. E dell’impossibilità di sfuggire a questa situazione, ormai al limite della sopportabilità.
Non parliamo, come potrebbe apparire semplice, delle fughe dei latitanti, quelli probabilmente risiedono esattamente dove nessuno li cerca: a casa loro. E non vogliamo nemmeno parlare dei tanti giovani e meno giovani che cercano fuori dalla Sicilia una via alla loro sopravvivenza, usando le disastrate autostrade siciliane per un’ultima volta, come nostrani migranti, in cerca di un futuro che qui appare sempre più nebuloso.
Parliamo invece della fuga dello stesso Stato che qui dovrebbe governare, anche autonomisticamente per mezzo dei suoi rappresentanti e che invece di tutt’altro si occupano, come si dice in altre faccende affaccendati. Ci siamo occupati giorni fa delle incompiute siciliane, ma ci sono anche le disastrate siciliane.
Per parlare delle “disastrate siciliane” dobbiamo andare di poco indietro. Così in nome di una presunta Autonomia, in verità mai applicata nemmeno parzialmente, una delle prime “rivoluzioni” di mister “la rivoluzione è cominciata”, fu quella dell’abolizione delle Provincie regionali. Rivoluzione annunciata in pompa magna da quel governatore che -perdonateci- ma non vogliamo nemmeno nominare sperando che presto passi nell’oblio della memoria (molto difficilmente infatti potrà sperare nella sua rielezione e nel proseguimento della sua carriera politica). L’esito è stato disastroso. Il presunto risparmio per la comunità si è infatti presto tradotto soltanto in uno spreco e scialo senza fine. Si è risparmiato sulle elezioni provinciali e sui costi di presidenti e consiglieri (sostituiti tutti da “commissari” di nomina regionale, affini al governatore innominato) ma si è lasciato che migliaia di dipendenti delle stesse provincie regionali venissero pagati per non aver più alcun ruolo da svolgere. I commissari non si assumono alcun rischio e la manutenzione di strade, edifici scolastici, beni architettonici si limita ormai alla “normale amministrazione”. Laddove, in Sicilia, nemmeno la copertura di una buca stradale è “normale amministrazione”. Così i siciliani ormai sono costretti a percorrere a zig zag la maggior parte delle strade provinciali.
Ora, tipica reazione di quando la nave affonda è che i topi scappino per primi, e così anche i commissari lasciati a presidio regionale hanno gettato la spugna, con le dimissioni. Il modo più pratico per dire che no, così non si riesce più ad andare avanti. Si nominano i commissari ma non si stanziano i fondi occorrenti perché l’Ente Provincia di fatto non esiste.
Per ora in due hanno dato le dimissioni, i commissari di Agrigento e Caltanissetta, ma è facile presumere che a breve, e per gli stessi motivi, saranno seguiti a ruota da tutti gli altri. Per le ex Province infatti non ci sono i fondi, le somme previste dalla finanziaria regionale in approvazione all’Ars sono una goccia nel mare per le esigenze di bilancio degli enti e i trasferimenti statali non sembrano destinati ad arrivare finché non troverà piena applicazione la riforma che è già operativa nel resto d’Italia. Il problema è squisitamente politico, ma a subirne le conseguenze sono, come sempre, i siciliani.
Ciliegina sulla torta, la Regione ha intanto lanciato un bando per il rifacimento di tappezzerie e tendaggi presso i sontuosi locali dell’Assemblea Regionale Siciliana. L’Assemblea regionale richiede in particolare la fornitura di tende e binari, incluso montaggio e smontaggio, e interventi sulla tappezzeria degli uffici. Importo ventimila euro. Nulla rispetto al fabbisogno regionale, tantissimo se pensiamo che qualche buca stradale in meno potrebbe salvare delle vite.
Ma tant’è. Questa è la Sicilia, questi i siciliani e questi i governanti. Di nuovo non c’è nulla, come sempre…