di Salvo Barbagallo
In Sicilia giungono ovattate e nell’indifferenza le vicende politiche legate al governo nazionale, gli scandali che affiorano di tanto in tanto non meravigliano nessuno, la convinzione generale è che qualunque cosa accada non cambierà nulla. Fatalismo? Forse, ma più che altro è la circostanza che il cosiddetto uomo qualunque non prova più quell’interesse necessario che poteva legarlo (una volta) alla politica e a tutto ciò che concerneva il benessere (o il malessere) del Paese nel suo complesso. I problemi concreti che pesano sulla Sicilia già sono sufficienti a distrarre l’attenzione da ciò che accade al di là dello Stretto di Messina, e già non c’è attenzione neppure verso ciò che si verifica quotidianamente nei Palazzi che contano a Palermo, sede del governo regionale.
Così nulla di strano se non c’è stupore sulla vicenda di Federica Guidi, ex ministro dello Sviluppo economico, caduta nelle maglie di una inchiesta della procura di Potenza sullo smaltimento dei rifiuti legati alle estrazioni petrolifere: in Sicilia probabilmente pochi ne conoscevano sia l’esistenza che l’importanza del ruolo che l’ex ministro ricopriva. D’altra parte, gli stessi Siciliani ben poco conoscono del mondo “siciliano” legato alle estrazioni petrolifere nell’isola e nell’area marittima che la circonda. E ciò nonostante che sia vigilia di Referendum sulle concessioni delle trivelle in tutta Italia.
Ovviamente c’è dell’altro, poi, alla base: le osservazioni qualcuno le fa (anche se in modo superficiale). In merito alle dimissioni della Guidi (forzate o volute, poco muta) il pensiero comune inevitabilmente si indirizza ai “due pesi, due misure”, eccetera: cioè quel che vale per una persona non vale per un’altra (il riferimento è ai “vari” indagati che risiedono in Parlamento), e che c’è la radicata convinzione che il premier Matteo Renzi continuerà per la sua strada qualunque evento negativo possa verificarsi.
E una di queste “osservazioni” (qualificate, c’è da dire) la fa Lucia Annunziata su Huffington Post: Nel marzo del 2015, si dimette Lupi, ministro delle Infrastrutture e trasporti. Oggi si dimette Guidi, ministro delle Attività produttive. Sulle scelte di entrambi l’ombra del conflitto di interesse – per Lupi uno scambio di favori fra il suo ruolo e un trattamento di favore per suo figlio; per la Guidi di uno scambio fra la sua influenza, e affari del suo compagno. Per entrambi le accuse vanno ancora provate, e ad entrambi va riconosciuto la sensibilità nei confronti delle loro funzioni istituzionali. Ma nemmeno queste pronte dimissioni possono stendere un velo sul fatto che il sospetto di conflitto di interessi torna continuamente sulla scena politica, e sembra confermarsi, dopo il caso Guidi, il più grande difetto del governo Renzi, il suo tallone di Achille. È la nuvola che grava da tempo sulla testa del più influente ministro, Maria Elena Boschi, e su più d’uno degli uomini che lavorano insieme al premier, dal sottosegretario Lotti, a Marco Carrai, fra i più importanti (…).
Osservazioni inevitabili che riguardano le “sensibilità” individuali. “Sensibilità” che – a quel che appare – non esistono nel governo della Regione Siciliana all’interno della quale non ci sono mai dimissioni ma solo “promozioni”. Forse perché le “lezioni” sul modo di far politica giungono da Roma, che viene presa a modello inderogabile. Anche se la Capitale resta lontano, tanto lontano dalla Sicilia o, per meglio dire, tanto lontano dai Siciliani.