Il soffio della speranza

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di Mariano Grossi

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Vi è più di un messaggio mandato, direi, a labbra socchiuse, quasi bisbigliato dalla Baldini nel suo ultimo romanzo, ma questo sussurro riesce ad essere percepito distintamente dal lettore attento. L’amore è gratuità, donazione urlata dalle viscere di chi avverte questo impulso e per intima complessione bio-chimica non riesce a star bene con altre modalità dell’essere. Quest’esigenza non può essere privilegio o prerogativa di un sesso, ma, quando esiste, è universale e scardina pregiudizi, preconcetti e luoghi comuni vigenti. A tutta prima, il lettore parrebbe intravedere questa ricchezza vitale nell’ansia procreatrice di Diana, la protagonista, ma è pur vero che ella scrosta la deriva di quella pulsione che la sta incurvando su sé stessa proprio quando incontra due compagni di viaggio, due maschi, direi, eterodossi rispetto ai loci communes sessisti: Claudio e il Dottor Unfer, due medici permeati dal giuramento ippocratico e, come tali, votati alla guarigione altrui per vocazione, chiamata interiore. Con loro Diana, il cui nome è mitologicamente ispirato al nume tutelare delle puerpere (tu modo nascenti puero..casta fave Lucina, dice il vate di Andes) aderirà alla logica della gratuità e della donazione e vedrà realizzato il proprio intimo anelito genitoriale, frantumando la beffa che fino ad allora ha rappresentato il suo nome di battesimo. Nomi di battesimo che inseguono nell’opera (come in altre della Baldini, basti pensare alla protagonista di ”Elektron”, Nur, la luce) una simbologia dei contrari che affascina e intriga: sa di beffa l’etimologia del primo uomo della protagonista, Riccardo, forte nel dominio, nel veder sgretolata l’impronta selfistica autoreferenziale proprio nell’atto della presa di coscienza della gravidanza dell’ex coniuge; così come la zoppia interiore del nuovo compagno di Diana, Claudio, retaggio di drammi fisici patiti in ragione del suo ippocratismo, sfuma nell’ortopedia psichica somministrata dall’amore della nuova partner. Prima di fecondare spermaticamente la matrix di Diana i due alleati protagonisti, Claudio e Vittorio, dovranno bonificarne la matrix cerebrale, isterilita nella sindrome della sconfitta e del fallimento muliebre, ed il fertilizzante sarà, inopinatamente in due maschi, l’humus ovo cellulare della pazienza e dell’accoglienza gratuita in un’inversione di stereotipi perfettamente riuscita. E il messaggio agli sconfitti è altrettanto chiaro nel bisbiglio dell’autrice: il cinismo, lo proprio particulare, genera prima o dopo frustrazione e pentimento. I destinatari sono Riccardo, il magistrato egocentrico pentitosi troppo tardi, e le multinazionali farmaceutiche, troppo avide e frettolose per supportare le fasi iniziali e gli approfondimenti della ricerca medica. Ed è stupendo che la Baldini inoltri queste “ambasciate” senza invilupparsi nella retorica e senza una storia thrilleristica, ma narrando una vicenda terrena reale e comune a tante coppie! L’autrice è la stessa, è sé stessa anche percorrendo ambientazioni nuove e distanti dal suo humus primario di thriller writer. E quest’identità, a mo’ di marca d’acqua indelebile, è rintracciabile nuovamente nella presenza indefettibile, anche in questa storia, del coadiutore scenografo insostituibile della Baldini: il mare. Stavolta esso svolge la funzione di scaturigine dell’incontro tra Diana e Claudio, i due protagonisti, vero magnete attrattivo del solipsimo di entrambi prima dell’incontro risolutore, laddove ne “Il veleno di Circe” e “Non nobis, Domine!” era la foce di una sublimazione androgina dove sfogare la pulsione erotica seduttiva, così come in “Semplicemente donna” quadro di fondo dell’intera storia d’amore. Il mare è, insomma, per l’autrice il prima, il durante e il dopo di una storia tra un uomo e una donna, in una funzione di consumato, saggio e stimolante regista! Ma stavolta la scrittrice si supera nella simbolistica marina e nominale già delineata fin qui, poiché l’originalità della vicenda, fulcrata sul dramma della procreazione e genitorialità, trova un mirabile exitus nel tratteggio della nuova creatura, Aurora, Eos, in Omero: ”Il mare, mormora sbadigliando Diana; mi è mancato in questi giorni … appena sarà possibile ci porterò la piccola Aurora: le insegnerò a riconoscerne l’antico richiamo e a rispettarne l’indomita irruenza, ad apprezzarne la confortante presenza e ad amarne la maestosa regalità. Le dirò come il suo respiro salmastro e la sua umida essenza abbiano nutrito la mia anima e alimentato la speranza quando la vita voleva presentarmi un conto ingiusto e troppo alto da pagare. Ed è stato il mare a farmi conoscere il suo papà …”: mare dunque cordone onfalico della vita che unisce la coppia e il frutto della loro unione androgina, mare eziogenetico, fecondatore e maieutria dell’essere! Ed alla creatura, origine nominale e fattuale della nuova vita di Diana, son dedicate le omeriche note conclusive della scrittrice, creatrice e psicologa profonda della quotidiana meraviglia dell’esistenza. Le riflessioni della procreatrice sono un testamento spirituale della genitorialità e riecheggiano le parole di Joseph Rudyard Kipling al figlio nella mitica poesia “If”. Aurora sembra davvero il pendant semantico italiano della Nur lucente di “Elektron”, poiché tutto ciò che è illuminazione permea di sé le pagine della Baldini a frantumare con la purezza e l’innocenza le ombre del male e dell’egoismo qui rappresentati da Riccardo e dai nemici del progresso scientifico.

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