di Salvo Barbagallo
Parliamo troppo poco delle cose di casa nostra? Non crediamo: dovrebbe essere tutto “casa nostra”, ma forse per molti non è così. Infatti, ognuno pensa alla “propria” casa. Tranne i Siciliani. Forse, quasi sicuramente. Passano inosservate e nell’indifferenza (grave errore) le vicende che si susseguono nel Palazzo dove si governa la Sicilia, a Palermo. Crocetta & soci, opposizioni (vere o fasulle) da tempo hanno perso credibilità e, a parte la mancanza di una effettiva e veritiera informazione, la collettività isolana non guarda i personaggi “politici” che stanno animando questa cosiddetta legislatura e non ascolta (ma dove?) ciò che si “discute” alla Regione. Grave errore poiché, alla fine, si decide senza che i Siciliani possano esprimere una loro qualsiasi opinione. Presi per stanchezza, si subisce senza reagire. D’altra parte non ci sono a disposizione strumenti adeguati per fare sentire la voce di chi (eventualmente) avesse intenzione di di dissentire. E allora?
Allora, nel tempo in cui autorevoli personaggi (il premier Matteo Renzi, l’ex Capo delo Stato Giorgio Napolitano, la ministra Boschi & Company) hanno messo in moto il meccanismo che potrà stravolgere la Costituzione Italiana, c’è da meravigliarsi se in Sicilia qualche altro personaggio (più o meno conosciuto) vuole cancellare (o stravolgere) lo Statuto Autonomistico Siciliano? No, non c’è da stupirsi, d’altra parte non è la prima volta che si tenta di usare la spugna sulla lavagna della storia. Già, la storia: i giovani Siciliani sicuramente non la conoscono, e non “colpa” loro. Nessuno si è curato di mantenere viva la memoria di un passato non tanto lontano, ma comunque lontanissimo dai momenti attuali.
Lo Statuto Autonomistico Siciliano fa ancora paura, nonostante che chi la Sicilia ha governato non lo abbia voluto mai applicare, asservendo quest’Isola non solo al Governo centrale nazionale, ma anche a una potenza straniera (alleata dell’Italia!). Fa paura, ma perché? Perché qualcuno, prima o poi, potrebbe osare e attuarlo nella sua pienezza normativa.
Già, la storia: chi governa oggi la Regione Siciliana probabilmente (potremmo, però, essere in errore…) non solo non ha letto lo Statuto Autonomistico, ma probabilmente (e forse indoviniamo…) non conosce come e perché è stato “concesso” alla Sicilia. Purtroppo hanno lavorato in molti per cancellare la memoria di ciò che è stato, di ciò che accaduto negli Anni Quaranta, quando c’era una Sicilia con i Siciliani che lottavano per l’Indipendenza dell’Isola, e quindi non molti ricordano (direttamente o indirettamente) che lo Statuto venne concesso ancor prima che l’Italia avesse la sua Costituzione e divenisse Repubblica. Un “compromesso”, si disse, per non fare staccare quell’importante pezzo di terra circondato dal mare dal Continente-nazione: e proprio da questa particolare dimensione partì la volontà (di chi?) di non mettere in funzione quello strumento che poteva cambiare le sorti della Sicilia. Uno strumento che ancora fa paura, così come ancora fa paura la Costituzione Italiana mai applicata nei suoi reali valori normativi e pertanto necessario “trasformare” come qualche entità superiore vuole.
E allora? Allora si torna a “discutere” a Sala d’Ercole dello Statuto Autonomistico, e allora Giovanni Ardizzone (Carneade? No, il presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana) prende l’aereo a Punta Raisi e decolla per andare nella Capitale a trovare (mercoledì 25 maggio) il Capo dello Stato, il Siciliano Sergio Mattarella, per dire che mentre si cerca di “cambiare” la Costituzione si potrebbe “cambiare” pure lo Statuto Autonomistico Siciliano. Da una parte si parla di “riformare”, da quest’altra di “revisionare”.
Oggi come oggi quanto fatto dai Padri Costituenti ha poco valore, non è più idoneo per il Terzo Millennio globale che si sta vivendo. Così vanno le cose d’Italia e di Sicilia. Da un Presidente della Repubblica all’altro c’è sintonia, c’è soprattutto “continuità” d’intenti. Come finirà? Come già è stato deciso (in qualche luogo, vicino o lontano, di questo mondo).
La speranza? Nella presa di coscienza dei giovani Siciliani: poca affidabilità nei meno giovani e degli “anziani” Siciliani, troppo vinti dall’indifferenza.