Di Salvo Barbagallo
Forse non se ne rende conto, o forse è “costretto” a parlare ed esprimere opinioni che vorrebbero essere intese come “ordini” o, quantomeno, “indicazioni” da rispettare. Fatto sta che quando parla l’ex presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, le “cose” si comprendono meglio o, quantomeno, le “cose” c’è chi li interpreta in un determinato modo e chi in un altro. Così accade che Napolitano “condanna” apertamente Cameron per avere indetto il referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, definendolo “un azzardo sciagurato”.
E qui l’osservazione (o riflessione, o considerazione, chiamatela come volete): è “azzardato” consegnare decisioni importanti alla volontà della collettività? Per Napolitano è sicuramente azzardato. Le decisioni non deve prenderle il cosiddetto popolo, ma pochi che per il popolo (o, per meglio dire, in nome di una presunta volontà del popolo della quale si sono autodefiniti “ereditari”) devono decidere. E ciò in nome anche della cosiddetta democrazia.
Come dare torto a Enrico Mentana che, su Facebook, così si esprime: “Formidabili questi nuovi critici della libertà: un anno fa volevano insegnare la democrazia ai greci, che nel loro piccolo l’hanno creata qualche millennio fa. Ora ci riprovano con gli inglesi, padri della democrazia moderna. Due referendum, peraltro voluti dai premier in carica, criticati come lesione della “vera democrazia”, e peraltro solo a causa del loro risultato. È bene allora ricordare già fin d’ora che in autunno qui da noi è in programma una terza consultazione, anch’essa voluta dal capo del governo, e che il termine referendum fu coniato proprio da queste parti, e non per caso”.
Ora c’è chi ha fretta di far uscire in tempi brevissimi la Gran Bretagna dall’UE, e viene indicato (guarda caso) il premier italiano Matteo Renzi a guidare la compagine che vuol prendersi una sorta di vendetta per quello che alcuni (anche se non lo dicono) chiamano “tradimento”. Evidentemente si è avuto un punto di svolta che, per molti, oltre a essere stato inaspettato, è stato traumatico. Non solo per il timore dell’effetto “domino” che può verificarsi, ma soprattutto per risvolti che è difficile prevedere e a dove portano.
Vedi il “Caso Scozia”: credibile che abbia intenzione di restare nell’Unione Europea, a prescindere dal risultato finale della Gran Bretagna. Più credibile la “voglia” di indipendenza che coltiva da anni e anni e l’occasione favorevole per raggiungere l’obbiettivo che si sta presentando dopo il referendum voluto da Cameron.
“La competizione globale dà a molti lavoratori la sensazione che li abbiamo abbandonati. Provoca diseguaglianze ancora maggiori. I privilegiati accumulano straordinarie ricchezze e potere. L’angoscia è reale. Quando la gente è spaventata, ci sono politici che sfruttano queste frustrazioni”: queste sono parole di Barak Obama, non condivisibili solo quando afferma che si tratta di sensazioni e quando ci sono politici che sfruttano queste frustrazioni. I fatti economici non sono “sensazioni”, le “diseguaglianze” sono una realtà che si tocca con mano. Federico Rampini in una sua corrispondenza da Ner pubblicata dal quotidiano La Repubblica, mette in evidenza che “si registra un vasto rigetto delle frontiere aperte, dei mercati comuni, dei trattati di libero scambio, oltre che dell’immigrazione. Viene rimesso in discussione tutto ciò che sotto il termine di globalizzazione ha segnato l’ordine economico mondiale nell’ultimo quarto di secolo”. Bisognerebbe chiedersi il perché di tale “rigetto” della globalizzazione, e il perché si stia verificando in questo particolare momento storico, e il perché stia coinvolgendo principalmente il Vecchio Continente.
Forse che lo sviluppo tanto esaltato non c’è stato, o c’è stato solo per i cosiddetti “privilegiati”? O forse perché il cosiddetto “potere” (economico, politico e, perché no, militare) è nelle mani di pochi Paesi? O forse perché il termine “democrazia” è stato considerato “superato” dai pochi che comandano, e adesso la cosiddetta “base” (cioè le collettività) è stanca e magari disperata? E quindi si è avviata una reazione che quei “pochi” temono di non potere controllare? Ci troviamo di fronte alla richiesta di “nazionalismo” o di fronte al tentativo di ritrovare la propria identità?
Cameron dando il via al Referendum era consapevole di ciò che metteva in moto? Probabilmente, sì…