di Salvo Barbagallo
Oggi è la “festa di tutti”, la “Festa” per ricordare la “nascita” della Repubblica Italiana. Così su Wikipedia: “Il 2 e il 3 giugno del 1946, si tenne un referendum istituzionale con il quale gli italiani vennero chiamati alle urne per decidere quale forma di Stato – monarchia o repubblica – dare al Paese. Il referendum fu indetto a seconda guerra mondiale terminata, qualche anno dopo la caduta del fascismo, regime dittatoriale che fu sostenuto dalla famiglia reale italiana per circa vent’anni. Dopo 85 anni di regno, con 12.718.641 voti contro 10.718.502, l’Italia diventò una repubblica e i monarchi di casa Savoia vennero esiliati. Questo referendum istituzionale fu la prima votazione a suffragio universale indetta in Italia. Il risultato della consultazione popolare venne ratificato ufficialmente il 18 giugno 1946, quando la Corte di Cassazione dichiarò la nascita della Repubblica Italiana.”
Per la prima volta nella storia della Repubblica, alla cerimonia del 2 Giugno dei Fori Imperiali sfila anche l’esercito dei sindaci, guidati dal presidente del consiglio nazionale Anci e sindaco di Catania Enzo Bianco. In 400 hanno aderito all’invito del ministro della Difesa, Roberta Pinotti. Per il Capo dello Stato/Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella/Siciliano una grande soddisfazione vedere la tradizionale parata “aperta” dal Siciliano Enzo Bianco. Forse meno soddisfazione da parte di quei Siciliani che sono riusciti a conservare ancora un po’ di memoria di tutto ciò che ha preceduto la controversa nascita della nuova Italia che usciva dalla catastrofe di una guerra non vinta e che si avviava su un percorso dove le conflittualità civili difficilmente si sarebbero potuto sanare.
È stata dimenticata, ma sarebbe meglio dire “cancellata”, la storia che ha preceduto la nascita della Repubblica, la “storia” che riguarda la Sicilia del 1945, quando le sorti della guerra ancora erano incerte e i tedeschi ancora occupavano il territorio nazionale. Un meccanismo perverso e tante e tante complicità hanno consentito (e provocato) la “perdita” di una memoria che doveva essere (questo sì) patrimonio di tutti, ma che invece ha determinato quella profonda spaccatura (a tutt’oggi esistente) fra Sud e Nord, e consolidato nei decenni il “potere” regionale strettamente collegato al decisionismo del “potere” centrale.
Basti ricordare ciò che accadde nella Sicilia “liberata” dagli angloamericani, 71 anni anni addietro sotto il governo Badoglio. I primi quindici giorni del 1945 sono i più tumultuosi dell’Isola, in una Sicilia che cerca spontaneamente e disperatamente un mezzo per autodeterminare il suo destino.
II primo giorno dell’anno Piana degli Albanesi – patria di Nicola Barbato che ha lasciato dai tempi dei Fasci siciliani in retaggio nei suoi compaesani uno spirito comunista molto radicato – si autoproclama Repubblica Popolare. Piana degli Albanesi, sede di una comunità etnica di lontane origini balcaniche, insorge a seguito del furto perpetrato da un carabiniere di guardia ai granai del popolo. A capo della rivolta è Giacomo Perrotta, conduttore rurale, antimilitarista convinto: forma il “Circolo d’Unione” e, con l’approvazione di tutta la comunità, decide l’autogoverno per la sua terra. Nessuno spargimento di sangue, nessuna ripartizione partitica del potere (nel consiglio direttivo c’è addirittura un vescovo, monsignor Giuseppe Perniciaro) macchia i cinquanta giorni d’indipendenza. Tra la notte del 19 e 20 febbraio un corpo di spedizione, forte di duemila uomini, composto di carabinieri, alpini e fanteria, pone fine all’impossibile sogno, e tutti i protagonisti dell’avventura finiscono in carcere.
Il 4 gennaio insorge Ragusa: la folla qui è esasperata per i continui arresti di giovani renitenti alla leva. I carabinieri sono costretti a barricarsi nella caserma. L’indomani rivolta a Vittoria: il popolo cattura la guarnigione della Guardia di Finanza, impossessandosi delle armi in dotazione; un commando di armati occupa le carceri liberando settantacinque detenuti. Lo stesso giorno si ribella Scicli, e quindi Avola, dove è fatto saltare un ponte sulla linea ferroviaria per Siracusa, mentre gli uffici governativi e le caserme sono messi a soqquadro.
Il 7 gennaio è la volta di Comiso, dove i separatisti agiscono di comune accordo con i comunisti. A Comiso si costituisce un Comitato del Popolo che, insediatosi in Municipio, emette un proclama nel quale si dichiara decaduta l’autorità dello Stato italiano, e crea solennemente la Repubblica di Comiso. Ingenti forze militari annientano le velleità della neorepubblica, velleità che sono pagate a caro prezzo: diciannove morti e sessantatre feriti fra i rivoltosi. Fra le truppe regolari si contano quindici perdite: carabinieri, soldati, due ufficiali e un sottufficiale.
L’11 gennaio a Naro, in provincia di Agrigento, vengono bruciate la caserma dei carabinieri e l’Ufficio delle Imposte. Nel pomeriggio dello stesso giorno a Palazzolo fanno la stessa fine i locali della Pretura, del Municipio e dell’Ufficio Annonario. Anche qui per sedare la sommossa intervengono i militari, ma non basta un battaglione che ingaggia battaglia: per sedare la rivolta, è necessario l’intervento dell’artiglieria e dei mezzi blindati. Secondo il ministero dell’Interno “i movimenti sediziosi sono stati predisposti e capeggiati da esponenti separatisti”.
Forse non è “diplomatico” ricordare questi episodi nel giorno in cui si celebra la nascita della Repubblica Italiana, e forse ciò indisporrà il Capo dello Stato Sergio Mattarella che questi episodi sicuramente conoscerà bene. Questi episodi, la spinta indipendentista che – volente o nolente – portò alla concessione dello Statuto Speciale Autonomistico, firmato ancor prima che l’Italia diventasse “Repubblica”. Episodi che vengono “nascosti” alle nuove generazioni di Siciliani perché fin troppo scomodi e perché (forse) potrebbero portare alla luce i reali motivi per cui lo Statuto Speciale Autonomistico non è mai stato applicato da chi la Sicilia ha governato nel corso dei decenni.
L’Italia unita (?) festeggia il “2” giugno, ma le “ferite” non sono state curate e restano aperte, anche se siamo nel Terzo Millennio. Di certo nella mostra fotografica allestita al Quirinale non troverete alcun riscontro delle “Repubbliche Siciliane” soppresse dai militari…italiani, ma c’è invece chi ha voluto ricordare i ventitre giorni della città di Alba, l’esperimento della Repubblica dell’Ossola, che viene considerato l‘embrione della Repubblica italiana rappresentato da quelle dei partigiani.
Figurarsi poi una Sicilia “Repubblica” indipendente…