Di Salvo Barbagallo
Mostra la corda il “sistema Renzi”, anche se dimostra di resistere in un Paese che ama le spinte ma che non riesce a dare le vere spallate. Di certo i risultati delle amministrative di domenica scorsa nelle grandi città avranno tolto dalla faccia del premier quel sorriso stereotipato tanto caro agli showman, se pure per poco, vista la sua grande capacità di recupero. Poco meno di due settimane per “un” momento della verità che potrà indicare il percorso per la competizione più importante, quella di ottobre per il Referendum sulla Riforma Costituzionale. E saranno giornate prevedibilmente convulse perché candidati sindaci e compagini politiche che li sostengono andranno in cerca di alleanze (magari impossibili) per superare l’ultimo scoglio.
Il risultato elettorale già noto:
Dato indiscutibile, il successo del Movimento Cinque Stelle.
Dato indiscutibile, il flop dei candidati del PD.
Dato indiscutibile, il disorientamento totale dei Berlusconiani.
Dato indiscutibile, affluenza alle urne in calo, il 62 per cento di votanti, cinque punti in meno delle precedenti elezioni.
Dato indiscutibile, la lentezza registrata nello scrutinio delle schede elettorali, che porta indietro la memoria di anni e anni.
Quel che accadrà domenica 19 giugno, giorno del ballottaggio, non è prevedibile, ma anche se il primo risultato di domenica 5 scorso dovesse essere stravolto (difficile), è chiaro il segnale di richiesta di “svolta” che proviene dalla collettività. E su questo “segnale” che sarà costretto a misurarsi e muoversi Matteo Renzi nel tentativo di recuperare quella sicurezza (mostrata sempre, ora compromessa) del suo modus operandi. La “lezione” di Napoli – dove la compagine PD è stato esclusa dal ballottaggio – è sicuramente più pesante di quanto è avvenuto a Roma, dove la candidata del Movimento Cinque Stelle Virginia Raggi è “volata” andando oltre, molto oltre delle ottimistiche previsioni della vigilia elettorale.
Adesso, e per i prossimi dieci giorni, sarà tempo di dibattiti, di esami di “coscienza” che saranno nascosti al grande pubblico. La vera scadenza per Matteo Renzi è ottobre, prima però dovrà superare le incertezze che gli riserverà il prossimo 19 giugno.
Una “mezza svolta”, quella dell’altro ieri: dall’Italia non si poteva pretendere di più. È già tanto, comunque vada a finire.
In Sicilia non fa storia la competizione appena conclusasi in quanto non si è votato in nessun capoluogo provinciale. Nei 29 comuni siciliani chiamati alle urne per le amministrative, l’affluenza alle urne è stata del 65,32 per cento. Tra le città più popolose, Alcamo, Vittoria e Caltagirone. La percentuale d’affluenza più alta si è registrata ad Antillo, nel Messinese, con il 75,81 per cento di votanti; la più bassa in due comuni dell’ennese, Barrafranca e Calascibetta, con percentuali di poco superiori al 49 per cento. Anche in Sicilia, comunque, si registrano successi del Movimento Cinque Stelle: avanti ad Alcamo, Favara, Porto Empedocle avanti, vittoria al primo turno a Grammichele. A Ramacca eletti sindaco l’ex deputato Giuseppe Limoli del centrodestra, ex braccio destro di Pino Firrarello, oggi con l’eurodeputato La Via. Davide Paratore del centrosinistra è il nuovo sindaco di Antillo, in provincia di Messina che, a capo di una lista civica, ha ottenuto il 53,99 per cento. A Caltagirone testa a testa tra Gino Ioppolo del centrodestra e Franco Pignataro sostento dal centrosinistra. A Vittoria si va verso il ballottaggio tra Aiello e Moscato del centrodestra, fuori i dem che invece vincono a Terrasini e Capo d’Orlando e vanno al ballottaggio a Porto Empedocle, Noto, Favara e Canicattì. A Capo d’Orlando passa il centrosinistra.
Il quadro complessivo (poca importanza ha come si giri la questione) lascia prevedere tempi duri: Renzi con ogni probabilità subirà l’offensiva della minoranza interna, che ha puntato su una sconfitta elettorale per iniziare la guerriglia finale in vista del referendum costituzionale che, da domenica scorsa, sembra una partita più che rischiosa. C’è già chi spinge per chiedere le dimissioni del premier da segretario Pd, con l’accusa che il doppio incarico tra governo e segreteria contribuisce pesantemente all’indebolimento elettorale. Come accade sempre all’indomani di una competizione elettorale Come sempre accade dopo le elezioni, nessuno si dichiara “sconfitto” dal Pd alla destra, tutti si diranno soddisfatti del risultato ottenuto. Nessuno si permetterà il lusso della sincerità poiché tra 12 giorni si rivoterà ovunque (tranne a Cagliari), e dunque chi è andato male ieri spera nella rivincita il 19 giugno.