La Sicilia e gli uomini della Chiesa

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La realtà d’oggi in Sicilia quasi sempre sfugge alla comprensione del cittadino “comune”: non si capiscono pienamente le “logiche” dei presunti passaggi politici, le nuove o vecchie alleanze che portano al Governo della Regione e della maggior parte degli Enti locali. Eppure per comprendere ciò che accade oggi c’è un “sistema” (o un “metodo”, come volete): guardare al passato, alle “cose” che nel tempo si è riusciti a focalizzare. Ecco perché riproponiamo un articolo pubblicato nel primo numero de La Voce dell’Isola nel lontano 16 settembre 2006: sono trascorsi dieci anni, ma è come un documento ritrovato fra le macerie della memoria.

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ves2di Franco Monaci

 

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Conosciute da pochi le “verità” sugli episodi più misteriosi che hanno caratterizzato la vita dell’Isola. Sia ieri così come accade oggi non sempre il destino della regione viene deciso a Roma, ma la Capitale continua a restare connivente

La Chiesa cattolica ha sempre avuto una grandissima influenza nella politica e nella società italiana. A lungo nel secolo XIX riuscì ad impedire l’unificazione del Paese. Privata del potere temporale ed espropriata del suo immenso patrimonio immobiliare, la “manomorta”, accumulato nei secoli, non ha mai perso la capacità di formare e indirizzare le coscienze. Durante il regime fascista trovò un onorevole accordo con lo Stato italiano; dopo la Seconda Guerra mondiale diventò l’ispiratrice del partito di maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana, e quindi si trovò nella condizione di influire sulle scelte di governo di tutto il Paese.

In Sicilia questa influenza è cominciata prima che nel resto d’Italia, con l’occupazione degli Alleati del 1943, ed è continuata successivamente ed è in atto sino ad ora. Per la loro conoscenza sia delle coscienze dei fedeli che degli atti delle autorità, gli uomini della Chiesa Cattolica in Sicilia hanno una speciale sapienza, che manifestano solitamente in maniera poco vistosa. A volte, nei casi più gravi, sono indotti a gridare, ma anche in questi casi non si lasciano andare a rivelazioni.

Al culmine della stagione delle stragi, il Cardinale Pappalardo paragonò Palermo alla città spagnola alleata dei Romani e assediata dai Cartaginesi e levò alta la voce con l’indimenticabile anatema: “…mentre a Roma discutono, Sagunto viene espugnata….!” Ma era davvero nella capitale della Repubblica Italiana che si discuteva del destino della Sicilia e della vita e della morte degli uomini dello Stato che lavoravano nell’Isola?

vesPuntando il dito contro l’inconcludenza del governo italiano il presule siciliano coglieva nel segno solo in parte, perché la causa principale della lunga scia di sangue di servitori dello Stato in Sicilia non era da ricercare a Roma, ma altrove.

Che non si trattasse semplicemente di negligenza dello Stato italiano mostrò di saperlo bene Giovanni Paolo II, quando rivolse direttamente ai siciliani responsabili dei grandi crimini che opprimono l’Isola e con voce possente tuonò: “Convertitevi!”

Sono sopratutto di qui gli uomini che hanno provocato una orribile scia di sangue che non ha eguali; in nessun altro Paese del mondo civilizzato sono stati uccisi, in così breve arco di tempo ed a causa del loro lavoro, tanti magistrati, tutori dell’ordine, rappresentanti delle istituzioni democratiche, imprenditori, sacerdoti e giornalisti. Un massacro troppo grande e lucido nello stesso tempo per essere “cosa nostra”, e cioè affare esclusivo dell’Italia, e tampoco della Sicilia.

La gravità e continuità dei delitti e la sensazione della loro rispondenza ad una precisa strategia suggeriscono l’esistenza di interessi economici, politici e militari che vanno oltre i confini dell’Isola, dell’Italia e della stessa Europa. Ma perché dal secondo dopoguerra questa tragica sequenza di grandi delitti e impenetrabili misteri si è concentrata in Sicilia? La sua posizione geografica al centro del Mediterraneo può essere una spiegazione.

Per capirci di più bisogna tornare indietro negli anni e puntare il binocolo su un altro importante uomo di Chiesa, Don Luigi Sturzo.

Alla fine degli anni Cinquanta il sacerdote calatino alzò la voce nel tentativo di convincere Silvio Milazzo, suo devotissimo discepolo e all’epoca presidente della Regione a capo di una coalizione fortemente autonomista, a chiudere le porte della Sicilia ad Enrico Mattei; il presidente dell’ENI si stava muovendo lungo una pericolosa rotta di collisione con il cartello delle grandi compagnie petrolifere internazionali, le “Sette Sorelle”, e Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano, antifascista ed esule attivo negli USA sino al rientro in patria dopo l’invasione angloamericana, era decisamente contrario; aveva sempre sostenuto che l’industria di Stato era fonte di sprechi e di corruzione, ma non è anche da ritenere che egli sia stato messo a parte dei piani degli Alleati in Italia e in Europa e soprattutto della funzione assegnata alla Sicilia nel settore energetico e petrolchimico, a supporto del presidio delle forze armate dell’Alleanza occidentale nel Mediterraneo. Non gli saranno stati ignoti, ad esempio, i motivi della decisione di affidare all’imprenditore privato Angelo Moratti la costruzione di una grande raffineria Exxon ad Augusta, dove i profondi fondali marini consentivano l’attracco delle petroliere provenienti dal Medio Oriente e della potente Sesta Flotta USA di stanza nel Mediterraneo.

ves1Fu però quella, come tante altre che ci hanno riguardato e ci riguardano ancora, una decisione presa non a Palermo, né a Roma, tipica espressione di poteri e strategie inaccessibili al controllo democratico e ciò nondimeno cogenti; chi ha tentato di infrangerli ne ha pagato tragicamente lo scotto. Per quanto riguarda l’audace capitano dell’industria italiana di Stato venuto a creare sviluppo e lavoro in Sicilia e il coraggioso presidente della Regione che lo accolse, sappiamo come finì: a Bescapè cadde l’aereo di Mattei, a Palermo cadde il governo Milazzo; l’ENI smise di insidiare le Sette Sorelle, Milazzo e il suo progetto autonomista furono definitivamente archiviati.

Da allora la Sicilia ha avuto non una storia, ma tante cronache disonoranti, soprattutto criminali. Limitarsi però a dire che il problema della Sicilia è la mafia e fare della professione antimafia un programma politico o, peggio, un vacuo vessillo, corrisponde a rimuovere il problema e in definitiva a fare più danni della mafia.

I Siciliani dobbiamo comprendere dunque che oltre che del Ponte e di altri importanti opere pubbliche, abbiamo bisogno di verità. Don Luigi Sturzo, il cardinale Pappalardo e il pontefice Giovanni Paolo II hanno levato alta la voce perché conoscevano la verità. Gli uomini della Chiesa di oggi non possono non sapere.

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