Libia: Putin chiede neutralità Italia ma non si appella al Trattato di Parigi del 1947

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di Salvo Barbagallo

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Apprendiamo grazie a due articoli pubblicati oggi (3 agosto) sul quotidiano La Stampa, uno di Anna Zafesova, l’altro di Francesco Grignetti, la posizione che la Russia ha preso in merito ai raid statunitensi contro le postazioni dell’Isis in Sirte.

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Vladimir PutinScrive Anna Zafesova: Vladimir Putin apre un nuovo round del suo Risiko contro la Nato e gli Usa e il «niet» della Russia arriva puntuale anche per la Libia: «I raid americani contro le postazioni dell’Isis in Libia sono illegali perché per compierli serve una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu», obietta l’ambasciatore russo in Libia, Ivan Molotkov. Il ministero degli Esteri di Mosca ricorda poi che la Russia «è sempre stata favorevole ad azioni decise per eliminare l’Isis e altri gruppi terroristici, con uno stretto coordinamento degli sforzi di tutti gli Stati». Come spesso capita, il Cremlino fa capire quello che vuole molto più esplicitamente di quanto possa sembrare. Il messaggio a Obama è quello di non osare un’operazione che non tenga conto della Russia.

Scrive Francesco Grignetti: … sulla questione di Sigonella c’è un sovrappiù di prudenza perché alla Farnesina fin dal mattino erano informati, tramite ambasciata, che l’annuncio dei raid aerei aveva suscitato un gran malumore della Russia. L’uscita pubblica dei russi sul carattere “illegale” delle azioni americane non è giunta inaspettata. Di più: fonti diplomatiche russe in Italia hanno contattato diversi esponenti del governo chiedendo che le basi “italiane” non vengano utilizzate come trampolino per la Libia.

In merito proprio all’utilizzo delle basi italiane da parte degli USA, viene spontaneo chiedersi i perché Vladimir Putin non si “appelli” al Trattato di Pace fra l’Italia e le Potenze Alleate ed Associate sottoscritto a Parigi il 10 febbraio del 1947 dall’’Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, dal Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, dagli Stati Uniti d’America, dalla Cina, dalla Francia, dall’Australia, dal Belgio, dalla Repubblica Sovietica Socialista di Bielorussia, il Brasile, dal Canadà, dalla Cecoslovacchia, dall’Etiopia, dalla Grecia, dall’India, dai Paesi Bassi, dalla Nuova Zelanda, dalla Polonia, dalla Repubblica Sovietica Socialista d’Ucraina, dall’Unione del Sud Africa, dalla Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia.

Secondo le regole stabilite in quel Trattato di Pace, in Sicilia non dovevano esserci installazioni militari di sorta. L’articolo 50, al comma 2, stabilisce che In Sicilia e Sardegna, tutte le installazioni permanenti e il materiale per la manutenzione e il magazzinaggio delle torpedini, delle mine marine e delle bombe saranno o demolite o trasferite nell’Italia continentale entro un anno dall’entrata in vigore del presente Trattato.

Inoltre al comma 4 dello stesso articolo 50 si stabilisce che: In Sicilia e Sardegna è vietato all’Italia di costruire alcuna installazione o fortificazione navale, militare o per l’aeronautica militare, fatta eccezione per quelle opere destinate agli alloggiamenti di quelle forze di sicurezza, che fossero necessarie per compiti d’ordine interno.

È vero, ormai sono trascorsi quasi settanta anni dalla firma del Trattato di Pace di Parigi, così come è vero che nessuna delle Potenze che lo sottoscrissero si è mai preoccupata di cosa potesse accadere nel corso dei decenni in Italia e nelle Isole “italiane”. È vero anche che gli stessi Stati Uniti d’America hanno disatteso quel Trattato di Pace e non “onorato” la loro stessa firma, instaurando con l’Italia Trattati bilaterali, chiaramente per motivi di opportunità, e “occupando” con le loro basi “autonome” bella parte del territorio italiano e siciliano. Troppo tardi per chiedere che le cosiddette basi italiane non vengano utilizzate dalle forze aeree statunitensi? Forse.

Per Vladimir Putin un’occasione mancata per far valere a ragione la sua voce.

 

 

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