di Luigi Asero
Mentre ancora si scavano le macerie del terremoto che nella notte del 24 agosto ha colpito il centro-Italia, il Paese riflette e finge il solito mea culpa di responsabilità, di occhi chiusi, di omissioni. Il sindaco di Amatrice, uno dei paesi praticamente cancellati, ha parlato di un’Italia che sa indossare fieramente il tricolore in tre occasioni: i Mondiali di calcio, le Olimpiadi e le grandi sciagure.
Come dargli torto? La gara di solidarietà, anche questa volta, lascia tutti a bocca aperta, fieramente meravigliati di essere italiani (per una volta almeno e seppur nel dolore della tragedia). Certo non sono mancate le polemiche che prenderanno presto il posto della ritrovata solidarietà. Ma delle polemiche faremo un cenno dopo, soltanto un cenno.
Di certo ci sono alcuni dati. Le vittime, tante, troppe per un Paese da sempre ad alto rischio sismico e per una scossa che ha avuto un’intensità pari al 6° Richter (in Giappone a stento sarebbero caduti i bicchieri non riposti). Da noi invece sono oltre 250 e qualcuno azzarda che potrebbero superare le 309 del terremoto in Abruzzo del 2009. Poi le scosse di assestamento, infinite, alcune anche molto violente, da far tremare al solo pensiero, oltre settecento, forse ottocento. Scosse che minano la serenità degli stessi soccorritori e che stanno tenendo tesissimi i già provati nervi delle popolazioni terremotate. E poi la solidarietà, la corsa ad aiutare, la gente che scava a mani nude, la disponibilità dei cani da ricerca, le raccolte in piazza di indumenti e beni di prima necessità, le file presso i centri trasfusionali per donare sangue (come già accaduto per la tragedia ferroviaria di Andria), la disponibilità a ospitare gli sfollati, le mille richieste di “cosa posso fare” spesso inevase ma che trasmettono un senso di sicurezza, un senso di patriottismo forse, se proprio non vogliamo del sentimento più bello che si possa avere in una comunità: l’umanità.
Poi le polemiche. Quelle vere (o plausibili) sulla sicurezza del patrimonio immobiliare italiano e quelle false, pretestuose, su hotel o tendopoli, su fondi per i migranti o fondi per i terremotati. Polemiche montate ad arte dagli stupidi del web aizzati da alcuni politicanti in cerca di consenso. No, non ha senso dar seguito a queste polemiche social, riprendiamo qui le parole di Enrico Mentana in risposta appunto a questi polemisti da tastiera, lì è racchiuso tutto:
Allora, vediamo di essere molto chiari. La solidarietà non è un obbligo, ma il suo contrario. È uno slancio, un gesto di vicinanza e di orgoglio comunitario, un atto di amore per il prossimo. Non è una tassa. Quindi, cari odiatori di professione, care iene da tastiera, cari scettici in servizio permanente effettivo, cari dietrologi a 360 gradi, state tutti tranquilli: non c’è problema, non ci sarà il vostro aiuto, amen. Ma non permettetevi di mettere in dubbio né la buona fede di chi mette la faccia su una raccolta di solidarietà, né la solidità degli obiettivi, né il buon fine delle donazioni. È da ormai vent’anni che assolvo a quest’impegno insieme al Corriere: in giro per l’Italia, dall’Umbria alle Marche, da San Giuliano di Puglia al Friuli, dalla Sardegna alle Cinque Terre, fino alla scuola di Cavezzo in Emilia inaugurata due anni dopo il terremoto del 2012 trovate i risultati delle nostre raccolte di solidarietà. Sempre d’intesa con le comunità e senza disperdere un euro. Scrivo tutto questo per rispetto dei tanti che hanno donato in tutti questi anni e continuano a donare in questi giorni, ringraziandoli sempre: perché ci danno l’esempio silenzioso e appunto disinteressato di un’Italia normale, buona, migliore.
Insomma, il terremoto nella immane tragedia che sta rappresentando ci ha però ricordato cosa potrebbe ricostruire il nostro Paese: proprio la solidarietà, quel ritorno a un’Umanità che da più parti sembra essersi persa. Il resto sono chiacchiere da gufi, non meritano neanche risposta.