Colpevoli e “complici” della militarizzazione USA in Sicilia

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di Salvo Barbagallo

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È possibile rimanere indifferenti di fronte a chi si mostra arrogante, forse per nascondere la propria debolezza o forse per coprire l’ignoranza (ignoranza, nel senso di “ignorare” o non “conoscere”), è possibile? È possibile rimanere in silenzio dopo avere ascoltato bugie e mistificazioni spacciate per “verità” imposte come incontrovertibili? Già, è possibile.

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Stralciamo dal servizio di Mario Barresi “Pinotti: Muos, il governo tutela la salute”, pubblicato due giorni addietro (7 settembre) sul quotidiano locale La Sicilia, alcune frasi pronunciate dal ministro della Difesa in occasione della sua visita a Catania per prendere parte alla Festa nazionale dell’Unità:

  • Conosciamo bene la questione del Muos che nasce prima che io facessi il ministro. Era una struttura che avrebbero voluto altre nazioni. Quando è stato deciso per l’Italia è stata una scelta che il nostro Paese ha ritenuto importante. C’è una preoccupazione dei cittadini che riguardava la salute, sono tenute importanti e sono tenuto in conto, ma l’Istituto superiore della Sanità ha dichiarato che non ci sono problemi per la salute. Quindi se il tema è non vogliamo il Muos perché è americano, il governo italiano non condivide. Se invece il tema è attenzione alla salute allora il governo condivide e mette e metterà tutta la sua attenzione. Ad oggi abbiamo una serie di dichiarazioni che il problema non c’è.
  • Certamente la Sicilia ha una sua posizione strategica e la base di Sigonella è di fatto una portaerei sul mare per la posizione che ha e per la situazione che vive oggi il Mediterraneo: quel luogo è centrale e diventa fondamentale nello scacchiere della sicurezza (…) So che Sigonella è una base ben inserita nel territorio e in realtà gli americani e gli italiani, anche la parte NATO che ci lavora, sono come se fossero un’unica realtà (…).

pin1Prima di qualsiasi commento è bene suggerire al ministro (o alla “ministra”?) Roberta Pinotti di chiedere a qualche dirigente del suo staff di procurarLe copia (è facile, si ritrova anche su internet, basta cercarlo) del Trattato di Pace fra l’Italia e le Potenze alleate sottoscritto il 10 febbraio del 1947 a Parigi. Il suggerimento (disinteressato) deriva dalla considerazione che il ministro Pinotti essendo nata nel 1961 e avendo seguito in gioventù studi umanistici quasi sicuramente lontani da questioni storico-politiche-militari, probabilmente ignora l’esistenza di questo fondamentale documento e sarebbe opportuno che ne facesse una lettura calibrata. Leggendo questo documento sicuramente il ministro Roberta Pinotti si renderà conto che è stata la “violazione” delle norme di questo Trattato da parte dell’Italia e degli Stati Uniti a compromettere la “sovranità” nazionale e a procurare al nostro Paese una serie di danni irreversibili. Le responsabilità non sono certo del ministro Pinotti, ma sicuramente dei ministri che l’hanno preceduta nel corso dei decenni, il cui operato – direttamente o indirettamente – ha avallato dandone continuazione.

Per comprendere pienamente l’importanza del Trattato di Pace di Parigi è sufficiente ricordare che venne firmato dall’Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, dal Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, dagli Stati Uniti d’America, dalla Cina, dalla Francia, dall’Australia, dal Belgio, dalla Repubblica Sovietica Socialista di Bielorussia, dal Brasile, dal Canadà, dalla Cecoslovacchia, dall’Etiopia, dalla Grecia, dall’India, dai Paesi Bassi, dalla Nuova Zelanda, dalla Polonia, dalla Repubblica Sovietica Socialista d’Ucraina, dall’Unione del Sud Africa, dalla Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia e, ovviamente, dall’Italia.

Ebbene quel Trattato all’articolo 50 – comma 2, 3, e 4 – specificava:

  1. In Sicilia e Sardegna, tutte le installazioni permancnti e il materiale per la manutenzione e il magazzinaggio delle torpedini, delle mine marine e delle bombe saranno o demolite o trasferite nell’Italia continentale entro un anno dall’entrata in vigore del presente Trattato.
  2. Non sarà permesso alcun miglioramento o alcuna ricostruzione o estensione delle installazioni esistenti o delle fortificazioni permanenti della Sicilia e della Sardegna; tuttavia, fatta eccezione per le zone della Sardegna settentrionale di cui al paragrafo 1 di cui sopra, potrà procedersi alla normale conservazione in efficienza di quelle installazioni o fortificazioni permanenti e delle armi che vi siano già installate.
  3. In Sicilia e Sardegna è vietato all’Italia di costruire alcuna installazione o fortificazione navale, militare o per l’aeronautica militare, fatta eccezione per quelle opere destinate agli alloggiamenti di quelle forze di sicurezza, che fossero necessarie per compiti d’ordine interno.

La questione, dunque e alla fine, è molto semplice: avendo Italia e Stati Uniti d’America disatteso (il termine esatto è “violato”) le norme di quel Trattato di “Pace” con “accordi” bilaterali Italia-USA, i Governi nostrani che si sono succeduti dal 1950 in poi hanno “ceduto” via via “parte” della sovranità territoriale nazionale, “consentendo” agli USA l’installazione di loro basi fisse, soprattutto in Sicilia. E’ il caso di Sigonella, dove la Naval Air Station è “autonoma” con tutti i mezzi bellici ivi collocati e attivi (dai droni Global Hakws ai Predator, ai velivoli d’assalto, eccetera), della struttura satellitare Muos, delle cellule d’appoggio ad Augusta, eccetera.

La questione della presenza stabile di forze armate “straniere” (se pur “alleate”) con installazioni “autonome”, dunque, non può considerarsi un “fatto di sicurezza nazionale”, ma più semplicemente di asservimento dell’Italia ad una Potenza straniera che può vantare “diritti” grazie agli accordi “bilaterali”. Parlare di “sicurezza nazionale” è un alibi. Una Potenza straniera che “risiede” in Italia in pieno assetto di guerra, con mezzi e uomini pronti a intraprendere qualsiasi azione bellica!

La questione Muos non va riferita, pertanto, soltanto alla “salute” dei cittadini (già fattore basilare) ma alla circostanza che il Muos è una “struttura bellica” che può essere adoperata per condizioni “offensive”. Lo stesso discorso vale per Sigonella e per tutte le installazioni “autonome” USA in territorio “italiano”.

C’è da rilevare, inoltre, sempre facendo riferimento al “violato” Trattato di Parigi, che all’Italia veniva vietato il “possesso” e la “costruzione” di armi nucleari: questa normativa dall’Italia è stata rispettata, ma di armi nucleari (pronte all’uso) nel “nostro” Paese ne sono “depositate” in un numero imprecisato e in sedi “ignote”, forse anche a Sigonella o ad Augusta. E sono armi nucleari statunitensi, cioè e sempre di una “Potenza straniera”.

Tutto ciò – vorremmo (ri)sottolineare al ministro Roberta Pinotti – poco o nulla ha a che vedere con la “sicurezza” o la “difesa” (?) dell’Italia: ci si trova nella situazione di avere forze militari “straniere” che operano in basi “proprie” installate in territorio italiano. Neppure la Germania di Hitler “alleata” con l’Italia fascista osò pretendere tanto da Mussolini!

C’è tanto altro da aggiungere…

  • Un ultima “osservazione” all’affermazione del ministro Pinotti So che Sigonella è una base ben inserita nel territorio e in realtà gli americani e gli italiani, anche la parte NATO che ci lavora, sono come se fossero un’unica realtà (…). E’ vero, ma il “riferimento” deve essere fatto “esclusivamente” per quanto concerne i ”militari” che “dentro” Sigonella vivono e sono in azione.

 Se il ministro Pinotti, infatti, risiedesse in Sicilia si renderebbe conto personalmente e direttamente che nel corso dei decenni non c’è mai stata alcuna ”integrazione” fra i militari statunitensi e la collettività siciliana. Tranne quella pubblicizzata periodicamente, “per propaganda” di basso profilo, che mostra sette o otto marines che vanno a “ripulire” i giardini pubblici del capoluogo…

C’è da chiedere al ministro Roberta Pinotti: è azzardato affermare che non si salva nessun Governo o ministro dagli Anni Cinquanta ad oggi, essendo tutti conniventi e “complici” di questa situazione alla quale non viene posto un legittimo “Alt”?

E’ il caso di riportare un intervento in data 27 gennaio 2007, di Agostino Spataro, già deputato del PCI e già membro delle Commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati:

pin3PATTI SEGRETI E FINTI BISTICCI

di Agostino Spataro *

La polemica infuria e la protesta monta intorno al via libera dato da Prodi all’enorme ampliamento della base militare Usa di Vicenza, pattuito e autorizzato dal precedente governo Berlusconi.

In questo tourbillon di posizioni e di legittime proteste c’è qualcosa di non detto, una sorta di ipocrisia che certo non aiuta a fugare le giuste preoccupazioni dei vicentini, anzi le aggrava.

Sullo sfondo, oscuro, di questa vicenda si agitano aspetti delicati riguardanti la sicurezza e la sovranità dell’Italia che, per altro, potrebbero mettere a dura prova la coesione dell’attuale maggioranza, offrendo spunto a Berlusconi e soci di tentare un’insidiosa manovra per debilitare e dividere il centro sinistra.

Una trappola in cui non si dovrebbe cadere, senza per questo rinunciare ai chiarimenti necessari e ad esperire tutti i tentativi possibili per concordare con l’amministrazione statunitense eventuali modifiche alle intese precedenti. Uscendo dalle logiche del fatto compiuto e dei diktat, inammissibili fra paesi sovrani e alleati.

Sopra tutto aleggia un interrogativo che nessuno ha posto in questo acceso dibattito: Prodi poteva negare agli Usa il via libera?

Certo, egli avrebbe potuto agire diversamente, più collegialmente e tenendo in maggior conto la volontà delle popolazioni locali, ma- credo- che, per il tipo di relazioni bilaterali vigenti in materia, non avrebbe potuto decidere diversamente.

E non si tratta di filo o di anti americanismo. Queste sono sciocchezze cui ricorrono coloro che sono stati presi con le mani nel sacco. Si tratta di ben altro che richiama la natura segreta e fortemente vincolante del sistema di accordi bilaterali fra Italia e Usa a proposito di basi e servitù militari.
Per Prodi questo passaggio è stato sicuramente solitario e drammatico, anche se poteva risparmiarci l’infelice boutade della “questione urbanistica”. Ai piani alti del governo e della politica si sa che così non è.

Bisognava parlare chiaro e, al limite, investire la responsabilità del Parlamento.

Il no italiano poteva essere espresso (e non lo fu) solo in sede di negoziazione della richiesta d’ ampliamento avanzata dall’amministrazione Usa.

In quella sede il governo Berlusconi ha acconsentito e sicuramente sottoscritto il relativo patto, con tutti i vincoli derivanti.

Perciò, nessuno crede al fatto che tali patti non esistano o siano sconosciuti ai responsabili. Due sono i casi: o si è trattato di una graziosa concessione, sulla parola, del governo Berlusconi o di un patto sottoscritto (dai due governi) e classificato segreto. Nel primo caso l’accordo non avrebbe alcuna legittimità e validità, nel secondo caso il governo in carica avrebbe dovuto conoscerlo.

Spiace che non siano stati informati, nelle forme dovute, Parlamento e cittadini.

Data la natura vincolistica degli accordi bilaterali esistenti fra Italia e Usa (che più avanti indicheremo) a Prodi non restavano molte carte da giocare. Forse, si poteva (e si potrebbe ancora) trattare una diversa allocazione.

La verità è che, tuttora, si sconoscono gli oneri e i vincoli contratti con tale patto e quindi non si può prevedere l’impatto che avrà sulla città di Vicenza in termini di vivibilità e di sicurezza e in generale sul Paese visto che comporta una certa cessione di sovranità, al di fuori del quadro Nato, in favore di uno Stato estero seppure alleato.

Perciò la gente vuol capire e soprattutto vedere le carte e, se possibile, evitare questo nuovo fardello all’Italia che già ospita un numero eccessivo di basi militari straniere (Nato e no) che la espone a pesanti condizionamenti e a pericolose responsabilità.

D’altra parte, non è questa la prima volta che si verifica una situazione così imbarazzante.

Visti i precedenti, relativi ad altre basi Usa installate in Italia, c’è da ritenere che l’ampliamento di Vicenza sia stato pattuito in virtù dell’accordo accordo generale bilaterale, stipulato il 20 ottobre 1954, il cui contenuto rimane “riservato”, che disciplina la concessione e l’uso di basi militari a favore degli Usa.

L’inghippo nasce dal fatto che fra segreti e misteri questo tipo di accordi finiscono per essere inghiottiti dal “buco nero” della riservatezza, creatosi a partire dagli anni ’50, che non consente di vederci chiaro, nemmeno ai parlamentari e alla gran parte dei ministri.

Tale accordo è un testo di esecuzione del trattato militare bilaterale del 1952 “sulla mutua sicurezza tra Usa e Italia” che, nella fattispecie, non può essere considerato come accordo di esecuzione del Trattato Nato. Con l’aggravante che non è stato mai portato in Parlamento per la ratifica.
Tutto in segreto dunque, in Italia. Mentre i parlamenti di altri paesi ospitanti basi Usa, quali Spagna, Portogallo, Grecia e perfino Turchia, hanno da sempre deliberato sul delicato argomento. Evidentemente, il Parlamento italiano è da meno. Questo è il punto politico da cui partire per evitare in futuro situazioni incresciose come quella che stiamo vivendo e per tutelare sul serio la nostra sovranità.

A quasi 60 anni dal primo accordo bilaterale (27 ottobre 1950), non è cambiato nulla: permane il regime di segretezza a cui si è aggiunto il vincolo della reciprocità in caso di disdetta, come dichiarato dall’ex ministro della difesa Martino, nell’audizione del 21 gennaio 2003, alle commissioni di Senato e Camera.

Si tratta, dunque, di una vecchia storia che affonda le radici nella “guerra fredda” e ancora condiziona la vita delle istituzioni democratiche. Anche dopo il crollo dell’Urss e lo scioglimento del Patto di Varsavia.

Ricordo che, a metà degli anni ’80, sollevammo, per conto del PCI, la questione in Parlamento chiedendo la declassificazione dell’accordo del 1954 e dei relativi annessi e la regolarizzazione dell’intera materia ai sensi dell’art.80 della Costituzione che impone la ratifica parlamentare sui trattati che comportano, in qualche modo, una cessione di sovranità.

Forse è venuto il tempo di ri-sollevarla. Questa volta, avendo al governo una coalizione progressista, la questione potrebbe essere degnamente risolta.

26 gennaio 2007

* Agostino Spataro, giornalista e saggista, direttore di “Informazioni dal Mediterraneo” (www.infomedi.it), deputato del PCI, è stato membro delle Commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati.

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