Nel Castello di Bratislava da ieri (16 settembre) sono riuniti i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea. Tra i temi principali definiti “caldi” in discussione, ci sono l’immigrazione, il terrorismo, la difesa europea. Sull’immigrazione il fronte dei Paesi dell’Est, denominato “il gruppo di Visegrad” capeggiato dall’Ungheria di Viktor Orban, presenterà un proprio piano
con quattro proposte. In merito alla “difesa europea”, il confronto si avrà sulla proposta avanzata dapprima dall’Italia di costituire un “nucleo forte” di Paesi che porti avanti un progetto di difesa comune, condividendo impegno, risorse e strategie. In merito il presidente francese François Hollande all’arrivo a Bratislava ha dichiarato La difesa europea è la sfida per l’Europa” che “deve essere capace di proteggersi da sola”, perché “non c’è continente, non c’è unione se non può difendersi da sola. La Francia sta facendo lo sforzo più pesante sulla difesa europea ma non può essere da sola e non vuole essere sola. Angela Merkel, dal canto suo, mette le mani in avanti e afferma: Non si tratta ora di aspettarsi semplicemente da un vertice la soluzione dei problemi dell’Europa. Siamo in una situazione critica. Ma si tratta di dimostrare coi fatti che possiamo diventare migliori nel campo della sicurezza, interna e esterna, nella collaborazione nella lotta al terrorismo, nel campo della difesa (…). E il presidente tedesco Joachim Gauck sottolinea: a Bratislava si farà “un punto decisivo” sul futuro dell’integrazione europea.
Sono frasi udite in tante altre circostanze, in altri summit precedenti ma quell’unione o comunione d’intenti alle quali tutti i Capi di Stato ufficialmente tendono, da anni resta un miraggio. Una situazione che ha ben tracciato Gianandrea Gaiani nel suo Editoriale su Analisi Difesa, che qui proponiamo all’attenzione dei nostri lettori:
Europa spietata con i “fratelli” greci e meridionali
di Gianandrea Gaiani
Pochi dati fotografano meglio di tante parole il fallimento dell’Europa e dell’Italia di fronte alla minaccia alla sicurezza rappresentata dall’immigrazione clandestina su vasta scala.
Nonostante il governo italiano abbia più volte annunciato che gli immigrati illegali sbarcati dalle navi della Marina Militare e delle flotte europee erano in numero inferiore agli anni scorsi, ieri il Ministero degli Interni ha dovuto anmmettere il “sorpasso” comunicando i numeri del record assoluto annuale di ingressi di clandestini.
Al 14 settembre quest’anno sono sbarcate 128.397 persone rispetto alle 122.113 del 2015 (+5,15%) e alle 127.755 del 2014.
Un record che il bel tempo previsto a settembre potrebbe consolidare ulteriormente con la possibilità che a fine anno i clandestini portati in Italia superino i 153.842 dell’anno scorso e persino i 170.100 del 2014. Del resto secondo l’inviato dell’Onu in Libia, Martin Kobler, sono almeno 235 mila i clandestini in attesa di imbarcarsi sulle spiagge libiche.
Un risultato che premia i trafficanti il cui successo è reso ancora più eclatante se si considera il massiccio dispiegamento di flotte che avrebbero dovuto contrastarli e difendere le frontiere e gli interessi di Italia ed Europa. Inoltre, mentre negli anni scorsi le autorità italiane registravano solo una parte degli immigrati illegali e in più di 100 mila si sono dispersi in Europa o vivono in clandestinità nella Penisola, quelli sbarcati quest’anno restano in Italia perché i nostri vicini e partner europei non ne accolgono neppure uno. Uno sviluppo prevedibile anche perché finché continuerà l’accoglienza i flussi non cesseranno mai e, anzi, continueranno a gonfiarsi.
Il Viminale ha fatto sapere che i “migranti” nelle strutture di accoglienza sono 158.530 (ma chissà quanti altri si sono dati alla macchia) contro i 103 mila del 2015 e i 66 mila del 2014. Dati preoccupanti anche per i costi che dovremo sostenere per mantenere tutti i clandestini arrivati e quelli in procinto di sbarcare nei nostri porti, incoraggiati dalla politica suicida dell’accoglienza per tutti coloro che possono pagare i trafficanti.
A proposito di costi, sempre ieri l’indagine su consumi e povertà di Confcommercio ha reso noto che “le persone assolutamente povere in Italia hanno visto un’impennata tra il 2006 e il 2015 del 177%, raggiungendo quasi la soglia di 4,6 milioni di persone, massimo storico” come ha riferito Mariano Bella, Direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio. I cittadini in povertà assoluta hanno superato il 7,5% della popolazione totale mentre erano il 3,3% nel 2005.
Pare chiaro, almeno a chi possiede un pò di buon senso, che la crescente povertà degli italiani e degli stranieri che risiedono legalmente in Italia dovrebbe scoraggiare Roma e Bruxelles dal buttare soldi per accogliere persone che non hanno alcun diritto all’asilo. Non lo hanno neppure coloro che fuggono dalla guerra (per la verità molto pochi tra quanti arrivano dalla Libia).
Il diritto internazionale sancisce infatti l’obbligo di accogliere chi fugge “direttamente” dal Paese in cui subisce persecuzioni. In pratica i rifugiati possono raggiungere il Paese più vicino a quello in cui sono in pericolo e da lì chiedere asilo (come hanno fatto tanti profughi siriani oggi accolti in Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti e trasferiti dai campi profughi in Libano, Giordania e Turchia) mentre nessuna legge li autorizza a pagare criminali per trasferirsi illegalmente pretendendo addirittura di scegliere la nazione dove venire accolti.
Di fronte a un quadro sempre più caotico e allarmante, che richiederebbe fermezza nel difendere la legalità oltre a respingimenti assisti e rimpatri forzati immediati, l’Unione Europea mostra ancora una volta la pochezza dei suoi vertici, incapaci di comprendere che l’emergenza migratoria è un problema soprattutto di sicurezza.
Il presidente della Commissione europea, ha annunciato ieri in un lungo discorso sullo “stato dell’Europa” il lancio di un piano di investimenti per l’Africa che consentirebbe di dare prospettive economiche a chi vuole emigrare in Europa. “Oggi noi lanciamo un piano ambizioso di investimento per l’Africa e i suoi vicini, che ha il potenziale di raccogliere 44 miliardi di euro di investimenti”, ha dichiarato al Parlamento europeo a Strasburgo.
“Se gli Stati europei contribuiscono, può arrivare fino a 88 miliardi di euro. Questo completerà il nostro aiuto allo sviluppo e ci permetterà di rispondere a una delle cause dell’immigrazione”, ha proseguito, giudicando questo nuovo aiuto “cruciale in un momento in cui la crescita economica nei Paesi in via di sviluppo è al livello più basso dal 2003″.
Questo nuovo piano “aprirà prospettive a quanti altrimenti intraprenderebbero un pericoloso viaggio nella speranza di una vita migliore”, ha affermato.
Anche sorvolando sul fatto che se tale piano potesse mai avere successo richiederebbe comunque molti anni e pur considerando che molti di quei fondi finanzierebbero progetti realizzati da aziende ed enti europei, è inevitabile mettere in parallelo l’enormità della mole di denaro che si vuole investire in Africa con la politica del rigore finanziario applicata in questi ultimi anni dalla Ue alla Grecia e ad altri Stati del Sud Europa, Italia inclusa.
Con Atene l’Unione europea non ha avuto pietà: ha affamato vecchi e bambini, messo in ginocchio il sistema sanitario rendendo introvabili molte medicine (come nel terzo mondo), ha elargito prestiti (in realtà girati alle banche creditrici del Nord Europa che hanno potuto liberarsi dei titoli del debito greco) condizionati alla cessione a prezzo di saldo di tutto quello che aveva un valore nella Penisola Ellenica e che oggi è per lo più di proprietà tedesca. Roma implora ogni giorno Bruxelles (e Berlino) per poter “limare” uno zero virgola nel rapporto deficit/Pil sentendosi spesso rispondere che il rigore impone sacrifici.
Questa Europa spietata con i “fratelli” greci e meridionali, ma di manica larga con gli immigrati clandestini, intende regalare 88 miliardi (cifra che ridicolizza anche i 6 miliardi donati alla Turchia per fermare i flussi migratori sulla “rotta balcanica”) a satrapi africani che continueranno a riempirci di immigrati per continuare a lucrare sulle loro rimesse in valuta.
Juncker dovrebbe sapere che sono 60 anni che buttiamo miliardi in Africa donandoli ai suoi voraci leader che arraffano più che possono ma non investono quasi mai in servizi ai cittadini e sviluppo con i quali crescerebbero naturalmente le richieste di libertà e democrazia. Invece di regalare cifre esorbitanti ai governi africani sarebbe molto più utile investire quel denaro per i servizi sociali nei Paesi europei più colpiti dalla crisi e dalla politica economica della Ue e per rimpatriare tutti i clandestini.
Come chiede anche Roma, che vorrebbe fondi europei per riportare a casa i cosiddetti “migranti economici” mentre continua a spendere soldi nostri per portarne in Italia migliaia ogni settimana.Semmai con i leader africani la leva finanziaria andrebbe usata come un bastone non come una carota. Minacciando cioè i Paesi che non si riprendono i loro immigrati di fermare immediatamente ogni aiuto economico, finanziario e allo sviluppo.
Juncker ha ovviamente esortato tutti i partner a farsi carico dell’accoglienza dei “migranti” e ha parlato anche di difesa europea, sostenendo di fatto il progetto presentato giorni fa dai franco-tedesco (l’Italia è stata ancora una volta emarginata nonostante lo show di Ventotene in cui Matteo Renzi ha ospitato sulla portaeromobili Garibaldi Hollande e la Merkel). Per il presidente della Commissione Europea occorre costituire “un quartier generale unico” per le missioni civili e militari dell’Unione, un “Fondo per la Difesa europea” per finanziare ricerca e innovazione nel settore, e attuare una disposizione presente nel Trattato di Lisbona, secondo cui gli Stati membri che lo vogliano possono mettere insieme le loro capacità militari sotto forma di una “cooperazione rafforzata permanente”.
Iniziative di cui si sente parlare da almeno 20 anni che rischiano di rimanere astratte non solo per i diversi interessi dei singoli partner ma soprattutto perché un’Europa incapace persino di difendere le sue frontiere dall’immigrazione illegale non potrà mai avere una credibilità militare, né in termini di deterrenza né tanto meno operativi.
Se quello che la Ue è capace di partorire di fronte alla dilagante emergenza migratoria sono le parole pronunciate ieri da Juncker allora è evidente che di questa Europa non abbiamo nessun bisogno.
Da ANALISI DIFESA 15 settembre 2016