di Carlo barbagallo
È Martin Kobler, capo della missione Onu in Libia, che ha da poco inoltrato il rapporto al Consiglio di Sicurezza sulla situazione nel Paese, a lanciare il nuovo allarme: In Libia ci sono 235 mila migranti che aspettano di trovare il modo per andare in Italia. È cruciale ristabilire la sicurezza nel Paese, per contrastare il fenomeno del traffico degli esseri umani che si intreccia con quello del terrorismo. All’inizio dell’anno (basta andare a spulciare i giornali in archivio) la stima dei migranti/profughi bloccati in Libia era di un milione. Poi i “numeri” sono diminuiti con lo scorrere dei mesi, ora l’ultimo dato riferisce di 235 mila fuggitivi in attesa di affrontare la loro avventura (spesso mortale) nel Mediterraneo a bordo dei barconi. E sperando d’essere salvati dalle navi militari italiane e da tutte le imbarcazioni preposte al soccorso stazionanti a poche miglia dalle coste libiche.
Ora si torna a parlare di “bomba migranti”, ma Martin Kobler quantomeno si pone il problema della “causa” dell’esodo: bisogna andare alla sua radice, che sta nel transito e nel traffico sulle coste libiche, ma anche nella povertà dei Paesi d’origine. Io sono stato nei campi, ho parlato con migranti senegalesi o della Guinea Bissau, e tutti mi hanno detto che partono perché a casa loro non hanno nulla da mangiare. La battaglia va condotta prima di tutto nei Paesi d’origine, e così risolveremo anche l’emergenza del transito in Libia. L’inviato speciale dell’Onu esamina anche gli ultimi avvenimenti in Libia: È cruciale ristabilire la sicurezza nel Paese, per contrastare il fenomeno del traffico degli esseri umani che si intreccia con quello del terrorismo (…) dobbiamo restare vigilanti, perché il terrorismo non è finito e i suoi militanti cercheranno di trasferirsi in altre regioni (…) l’offensiva del generale Haftar contro le installazioni petrolifere è molto preoccupante (…) La Libia ha bisogno di dialogo, stabilità e unità (…).
Corretta l’analisi di Martin Kobler, sul tappeto e irrisolta resta la questione delle migliaia e migliaia di migranti/profughi “in attesa” di attraversare il Mediterraneo. I numeri possono essere incerti in quanto si conoscono solo quelli delle persone che vengono salvate e sbarcate nei porti siciliani, e quelli dei cadaveri che vengono recuperati. Numeri “fluidi” sui migranti che finiscono nei centri di accoglienza e su quelli che (volutamente) fanno perdere le loro tracce una volta giunti sulla terra ferma.
Ha il “sapore dell’accademico” l’allarme lanciato da Martin Kobler sulla nuova possibile ondata di migrazioni, alla vigilia del vertice che la settimana prossima discuterà questa emergenza durante l’Assemblea Generale: l’emergenza ormai da tempo è “non stop”, e se non viene considerata nella sua giusta dimensione è perché, forse, manca una precisa e complessiva volontà politica di risolverla alla base. Questo, purtroppo, è uno dei motivi per cui gli “allarmi” non allarmano più di tanto e il lavoro di soccorso ai migranti che viene faticosamente svolto, da tempo, si è trasformato in semplice routine quotidiana.