di Salvo Barbagallo
Se l’obiettivo di Matteo Renzi tirando in ballo in periodo pre-Referendum il Ponte sullo Stretto di Messina era quello di risvegliare un po’ di interesse sulle sue iniziative (o performance?) da premier, ebbene l’obiettivo lo ha raggiunto: i mass media nazionali riportano le sue dichiarazioni in ottimo risalto. Ma l’altra faccia della medaglia è costituita dall’enorme massa di critiche che sono piovute su affermazioni ritenute quantomeno paradossali e, comunque, poco aderenti alla realtà che il Paese oggi vive.
In verità avanza con forza l’impressione che a Matteo Renzi (non tanto all’improvviso) sia venuto a mancare qualche importante “consulente” o “suggeritore” che fino a qualche tempo addietro è rimasto dietro le quinte, in ombra per non apparire e, alla fine, scomparire. Se così è, si spiegherebbe la buccia di banana costituita dall’argomento Ponte sullo Stretto di Messina, sulla quale è scivolato pesantemente. Di certo al premier non mancano oggi gli amici potenti, e la recente visita-partecipazione all’Assemblea dell’Onu, lo ha dimostrato anche con l’elargizione di “premi” alla persona. Ma gli “amici” risiedono Oltre Oceano, troppo lontani per dare consigli utili in ogni occasione, e forse non è potuto andare in soccorso al buon Matteo neppure l’ambasciatore USA in Italia, forse assente o forse più cauto dopo le sue prese di posizione sul Referendum.
Dunque, vale la pena presentare una carrellata di commenti sulla stampa nazionale.
Sergio Rizzo su Il Corriere della Sera scrive: Solo una cosa: adesso chi glielo dice a Vincenzo Fortunato che si ricomincia daccapo, e lui dovrà fare le valigie? Da tre anni e mezzo l’ex braccio destro di Giulio Tremonti fa il liquidatore della società Stretto di Messina. L’incarico gliel’ha dato Enrico Letta un mese dopo essere arrivato al governo con un decreto dove c’era scritto che per smantellare la società pubblica che avrebbe dovuto gestire la realizzazione del Ponte fra Scilla e Cariddi non avrebbe dovuto impiegare più di un anno. E già quella era una follia. Com’è infatti possibile fissare per legge un termine simile in un Paese dove le liquidazioni durano quarant’anni? Secondo il decreto tutto doveva essere finito entro il 15 aprile 2014: è il 28 settembre 2016 e siamo ancora a carissimo amico. Non è colpa di Fortunato, sia chiaro. Ma del pasticcio infernale che è questa storia del Ponte. Con le imprese aggiudicatrici dell’appalto riunite nel consorzio Eurolink guidato da Impregilo, c’è in ballo una causa per risarcimento danni da cui difficilmente lo Stato potrebbe uscirne indenne. Parliamo di cifre enormi: 790 milioni di euro più gli interessi. Somma alla quale si devono poi aggiungere i 350 milioni già spesi in trent’anni per il funzionamento della società e i progetti dell’opera (…).
Alessandro De Angelis su Huffington Post: Un anno fa, presentando il libro di Bruno Vespa, grande notaio, ai bei tempi, del contratto con gli italiani di Silvio Berlusconi, il premier aveva detto: “Investiamo – dice Matteo Renzi – 2 miliardi nei prossimi cinque anni in Sicilia per le strade e le ferrovie. E poi faremo anche il Ponte, portando l’alta velocità finalmente anche in Sicilia e investendo su Reggio Calabria, che è una città chiave per il sud”. Oggi, dopo una performance televisiva da Del Debbio sulle reti Mediaset, con tanto di lavagna e assunzione d’impegno solenne, va oltre e assicura che l’opera porterà “100 mila posti di lavoro” (…).
Ugo Magri sul quotidiano La Stampa evidenzia: Dunque Renzi si lancia dove hanno già fallito Carlo Magno, Re Bomba (Ferdinando II di Borbone), Benito Mussolini, Bettino Craxi e da ultimo Silvio Berlusconi. Si tuffa in un’impresa che, ripensamento dopo ripensamento, è diventato un simbolo dell’inconcludenza nazionale. Per dirla con l’americano «Wall Street Journal», il Ponte sullo Stretto è l’«emblema della storica indecisione che incatena l’Italia al proprio passato». Lo facciamo, no non si fa, inizieremo presto i lavori, contrordine li abbiamo bloccati: un film rivisto perlomeno quanto certe puntate del Commissario Montalbano, per restare in tema di Sicilia. La sfiducia nelle parole è ormai tale che chi protesta in fondo fa un regalo al premier, perché combatte il progetto come se davvero le ruspe fossero pronte a scavare, insomma lo prende sul serio. Forse è proprio la reazione di cui Renzi ha bisogno (…).
Domenico Ferrara sul quotidiano Il Giornale: “Bisogna completare il collegamento tra Napoli e Palermo, un’operazione che porti 100mila posti di lavoro e serva a togliere la Calabria dall’isolamento e ad avere la Sicilia più vicina”. Puntuale come un orologio, Matteo Renzi torna a parlare del Ponte sullo Stretto. E non è casuale che lo faccia alla celebrazione dei 110 anni del Gruppo Salini (capofila del consorzio che si aggiudicò la gara d’appalto). La storia si ripete. Perché nel settembre 2014, lo stesso AD della società, Pietro Salini, aveva spronato il premier a riaprire il dossier dicendosi disponibile a rinunciare alle penali per la sua mancata realizzazione. In realtà, all’epoca Salini aveva parlato di “almeno 40 mila posti di lavoro in un’area a forte disoccupazione” (diversi dai 100 mila paventati dal presidente del Consiglio), ma poco importa. Dal 2014 a oggi son passati due anni e le stime possono cambiare. Così come pare essere cambiata l’opinione dello stesso Renzi. Nel manifesto rottamatore della Carta di Firenze 2010 c’era scritto chiaro e tondo: “Ci accomuna il bisogno di cambiare questo Paese (…) un Paese che preferisca la banda larga al Ponte sullo Stretto”. E poi ancora, l’1 ottobre 2012, a Sulmona per la sua prima tappa del tour abruzzese per le primarie sentenziava: “Continuano a parlare dello Stretto di Messina, ma io dico che gli otto miliardi li dessero alle scuole per la realizzazione di nuovi edifici e per rendere più moderne e sicure”.
Altri commenti potrebbero essere aggiunti a quelli già presentati, ma questi sono sufficienti e rappresentativi di uno stato di cose è sotto gli occhi di tutti. Almeno di chi vuol vedere.
Allora? Allora c’è da chiedersi se il premier abbia perduto la sua grande capacità nel manovrare le situazioni (sempre a suo vantaggio), oppure avendo soddisfatto la funzione “principale” del suo ruolo, quella del “rottamatore” in danno del “suo” partito, il PD, oggi cerca (nel modo sbagliato, con le “promesse”) di accattivarsi in vista del Referendum del prossimo dicembre le simpatie del Sud? Se fosse vera quest’ultima ipotesi si dovrebbe dire che a Matteo Renzi “premier Italiano” la “lezione” offertagli dal flop della Festa nazionale dell’Unità a Catania e quella del successo della Festa dei 5 Stelle a Palermo, non sono servite a nulla.
Se di “speranza” per il Sud si dovrà parlare non basta mettere in campo un Ponte. Forse questa sarà la volta buona perché i meridionali si rendano conto di chi governa il Paese?