di Salvo Barbagallo
Gli indipendentisti Catalani sono tornati a manifestare in piazza: l’occasione per rivendicare la volontà di secessione dalla Spagna la festa della Diada, che commemora una battaglia (perduta) nel 1714 contro le truppe borboniche. In cinque città della regione, la capitale Barcellona, Tarragona, Salt, Lleida, Berga, oltre un milione di manifestanti, seicentomila nella sola Barcellona. Sono manifestazioni che si tengono sistematicamente dal 2012, appunto nella ricorrenza della Diada l’11 settembre, ma il 2016 viene considerato l’anno della svolta: nel Parlamento catalano, infatti, c’è già una maggioranza assoluta di deputati che apertamente e da mesi sta lavorando per il “distacco” dalla Spagna. E per la prima volta il presidente della Generalitat (la Regione), Carles Puigdemont, ha preso parte alla manifestazione, rompendo la tradizionale neutralità del predecessore Artur Mas. Charles Puigdemont ha dichiarato: “Come da programma, mese più mese meno, la prossima estate la Catalogna sarà pronta con le strutture di un nuovo Stato. Se la Spagna ci ascolta e offre un referendum saremo felicissimi, altrimenti andremo avanti per la nostra strada…”
Il 27 luglio il Parlamento catalano aveva approvato un documento che prevede la secessione della Catalogna dalla Spagna entro il 2017. Una risoluzione simile, con l’obiettivo di avviare formalmente il processo di indipendenza, era già stata votata lo scorso 9 novembre dal Parlamento regionale appena eletto. Qualche giorno dopo, però, la Corte Costituzionale spagnola aveva accolto il ricorso del governo del primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, aveva sospeso la risoluzione e aveva avvertito che i membri del governo catalano non avrebbero dovuto partecipare in futuro a qualsiasi altro tipo di iniziativa che ignorasse tale decisione. Il documento approvato consiste nelle conclusioni di una speciale Commissione di studio del processo costituente e riassunte in 11 punti e che prevedono, tra le altre cose, di attivare un meccanismo unilaterale di esercizio democratico, di convocare un’Assemblea costituente e in sostanza di portare a termine il processo costituente di un nuovo Stato indipendente catalano attraverso un processo partecipativo e una serie di leggi di scollegamento dal Parlamento nazionale.E se in Sicilia arrivasse il vento indipendentista della Catalogna? No, al momento è impossibile: le correnti d’aria vanno altrove, verso la Scozia o altri luoghi. Quel vento che viene dalla montagna e cala sulle città opache che sanno di fuliggine, quel vento che ha sfiorato la neve chiara e pulita non scende a valle, nella città a spazzare d’un tratto l’impenetrabile cappa di grigio che sporca e nasconde le ombre.
Allegorie, o pseudo allegorie a parte, nonostante che nella nostra Isola proliferino i movimenti Sicilianisti, nulla a livello “regionale” fa intravedere un concreto risveglio del sentimento indipendentista in grado di contrapporsi alle radicate baronie politiche legate ai governi nazionali di turno.
L’altro ieri (11 settembre) un militante del “NO” referendario che manifestava contro la presenza del premier Matteo Renzi a Catania, cercava di far comprendere a un poliziotto in borghese che era spropositato e fuor di luogo l’incredibile cordone di forze dell’ordine attorno alla Villa Bellini, cercando di fargli capire che l’articolo 31 dello Statuto Speciale autonomistico prevede che al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il Presidente regionale. E di rimando l’agente di polizia rispondeva: È stato il presidente della Regione Crocetta che ha predisposto le attuali misure di sicurezza!
Risposta disarmante ma significativa che mostra e dimostra il cordone ombelicale che lega Palermo a Roma.
In queste condizioni ipotizzare che il vento rinnovatore della Catalogna possa soffiare sulla Sicilia è vera utopia, ed equivale a non tenere in alcun conto le…condizioni metereologiche dell’imminente futuro.