Bombe “made in Italy” sullo Yemen

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di Salvo Barbagallo

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I mass media sono attualmente troppo interessati a riportare le diatribe sulle sconsiderate dichiarazioni di Trump, candidato presidente degli Stati Uniti, troppo interessati al Nobel per la pace concesso al presidente della Colombia Juan Manuel Santos, troppo interessati a tante altre cose che riguardano Le Case altrui, tante (a conclusione) da far ricordare marginalmente i problemi che ci riguardano da vicino come quelli che concernono la Libia e il conseguente flusso di migranti che quotidianamente lascia quel Paese per dirigersi verso le coste della Sicilia, e infine far dimenticare quasi totalmente chi alimenta le guerre che stanno dilaniando molti territori al di là della sponda del Mediterraneo fornendo armi e strumenti bellici di morte.

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Saudi-led airstrikes hit a funeral ceremony in SanaaCerto, ci sono le polemiche che stanno animando la campagna elettorale referendaria del prossimo dicembre, con quel “Si” o “No” in merito alla riforma della Costituzione Italiana, quella Costituzione che all’articolo 11 dei Principi Fondamentali recita l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli (…), quell’Italia che poi alle guerre partecipa in nome della pace, e (chissà “nel nome” di cosa) fabbrica e vende armi e strumenti di distruzione a quei Paesi in conflitto che intende pacificare; quell’Italia che non “deve” produrre (per fortuna!) armi nucleari che, però, sul suo territorio consente il “deposito” di ordigni atomici (90, per quanto è noto) di Potenze straniere (gli USA). Un paradosso?

Il cargo da Cagliari diretto in Yemen
Il cargo da Cagliari diretto in Yemen

Ieri (9 ottobre) il giornale cattolico Avvenire presentava una sua inchiesta con il titolo “Bombe italiane da Cagliari allo Yemen”, all’indomani di una strage avvenuta a Sanaa che ha provocato 155 morti e 500 feriti a seguito di un attacco (come riporta l’agenzia Ansa) di un aereo della Coalizione araba a guida saudita che ha preso di mira un salone per i ricevimenti dove si svolgeva un funerale alla presenza di diversi esponenti Houthi, i ribelli sciiti sostenuti dall’Iran che controllano la capitale yemenita. Riporta il quotidiano Avvenire: Partono in volo da Cagliari le bombe sganciate in Yemen. Con questo titolo il primo novembre scorso, Avvenire pubblicava il primo di una serie di approfondimenti sull’esportazione di munizioni fabbricate in Italia e destinate alla coalizione saudita, che sta bersagliando l’estremità meridionale della penisola araba. Ora la procura di Brescia ha avviato un’indagine. L’ipotesi di reato è quella di violazione della legge che vieta l’esportazione di armi verso Paesi in guerra.

Il divieto sarebbe stato aggirato (in ipotesi) perché la produzione, formalmente, è tedesca (la multinazionale Rvm) e non italiana, anche se lo stabilimento si trova in Sardegna. Il procuratore aggiunto Fabio Salamone, oltre alle notizie di stampa, ha acquisito documenti e informazioni riguardo almeno 5 mila ordigni assemblati in Sardegna nello stabilimento della multinazionale tedesca Rvm, la cui filiale italiana ha sede a Ghedi, in provincia di Brescia, e destinati ai caccia della missione araba avviata oltre un anno fa contro i ribelli sciiti Houthi.

Strage a Sanaa in Yemen
Strage a Sanaa in Yemen

Il quotidiano cattolico mette in evidenza che l’export di armi da guerra italiane è triplicato, con un giro d’affari passato dai 2,9 miliardi di euro del 2014 agli 8,2 miliardi nel 2015. Nei giorni scorsi il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, si è recata a Riad per incontrare i vertici sauditi. Nella delegazione italiana era presente anche il generale di Squadra Aerea Carlo Magrassi, segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti. La stampa saudita ha accennato alla trattativa per la cessione di tecnologie militari navali. «Durante il colloquio – si legge in una nota della Difesa – è emersa l’esigenza comune di assicurare la stabilità alle regioni del Medio Oriente e del Nord Africa allo scopo di garantire alle popolazioni di queste regioni pace e sicurezza e favorire lo sviluppo economico e sociale». Ma a chi parla di incontro finalizzato alla vendita di sistemi d’arma, il ministero risponde minacciando querela. «Non ci pare un comportamento responsabile né corretto a livello istituzionale quello della ministra Pinotti che minaccia querele a chi chiede legittimamente un chiarimento sui suoi incontri in Arabia Saudita e sul coinvolgimento dell’Italia nella vendita di armi a Riad», ha detto il deputato di Possibile, Pippo Civati, che al ministro dice: «Venga in Parlamento a chiarire».

L’inchiesta di Avvenire ha messo il dito nella piaga, ma l’argomento (purtroppo) lascia indifferenti (?) gli Italiani. D’altra parte chi rappresenta la produzione bellica nazionale in merito alla vendita di armi a Paesi islamici in guerra afferma con tranquillità sono Paesi che fanno parte di un fronte occidentale legittimato dagli Stati Uniti, e noi facciamo parte di consorzi che ai Paesi del fronte occidentale danno sostegno per potersi difendere e inoltre abbiamo 50 mila persone da dover alimentare….

Cosa aggiungere?…

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