Di Salvo Barbagallo
L’ultima cena ufficiale del presidente degli Stati Uniti, Obama, con la partecipazione del premier italiano Matteo Renzi e della sua selezionata e significativa corte (Benigni, Giusi Nicolini, Armani, Bebe Vio) dovrebbe dirla lunga su ciò che può essere riservato al Paese e, soprattutto, alla Sicilia nello sviluppo di questo presente.
“Renzi rappresenta un leader per il futuro dell’Europa”, ha sostenuto Obama, sottolineando l’indissolubile legame tra gli USA e l’Italia, ricordando nei temi affrontati nell’incontro alla Casa Bianca la partecipazione militare italiana in Ucraina, l’accoglienza dei migranti, il contributo al sostegno del governo di unità nazionale in Libia, l’impegno alla lotta all’Isis. L’Italia è uno dei più grossi alleati che abbiamo: patti chiari e amicizia lunga, visto che tra Italia e Usa ci sono delle condizioni che non potrebbero essere più chiare, ha affermato senza reticenze il presidente statunitense. Dal canto suo Renzi ha ringraziato Obama per il supporto degli Usa alla battaglia che l’Italia sta conducendo per la crescita contro l’austerità, affermando (!) che. l’Italia considera l’esempio americano come il punto di riferimento di questa battaglia (!) e dichiarando tout court che l’agenda internazionale italiana coincide totalmente con quella americana. Il nostro impegno continua a fianco della coalizione internazionale in tutti i teatri (!!!), a cominciare da quello difficile in Iraq per il salvataggio della diga di Mosul (…).
Negli Stati Uniti il conto alla rovescia per l’Election Day è già cominciato: all’8 novembre mancano appena venti giorni e fino ad oggi il risultato non considerato scontato. Per il “Day” referendario italiano Renzi ha ancora tempo per discutere e per cercare di cambiare le carte in tavola: la cena presidenziale ameriKana gli serve e gli servirà per dimostrare che a sorreggerlo ci sono forze politiche con valenza mondiale (!) e che quindi può considerarsi “inattaccabile” (o “intoccabile”?).
A dire il vero non occorreva questo sfoggio propagandistico che, a conti fatti, può considerarsi un boomerang in quanto riporta alla memoria altri tempi, altri “alleati” finiti male dopo catastrofiche decisioni che hanno annientato intere popolazioni.
Non solo. Si è potuta registrare con quest’ultima trasferta nella terra dei cowboy e degli indiani sterminati, l’arroganza di Obama e del premier italiano, parlando apertamente di “patti”. Di “patti chiari” che determinano “amicizia lunga”: quei “patti” che gli USA hanno stretto con chi ha governato l’Italia dal dopoguerra ad oggi e che hanno trasformato il nostro Paese in una piattaforma militare yankee dove, in piena tranquillità, vengono custoditi anche ordigni nucleari pronti all’uso per interessi altrui e non certo nazionali.
Con questa prospettiva è già segnato il destino della Sicilia (e non solo, ovviamente, quello dell’Italia): un territorio che deve essere l’avamposto a Sud degli USA per tutto ciò che può derivare dalle (provocate) destabilizzazioni socio-politiche-militari dei Paesi ricadenti nell’area del bacino del Mediterraneo e oltre. Un avamposto fortemente armato (Sigonella, Niscemi, Augusta, Trapani, eccetera) dove gli statunitensi sono radicati da decenni con le loro installazioni militari autonome.
Come detto e scritto in altre circostanze in precedenza, ci troviamo di fronte al proseguimento dei patti scellerati sottoscritti in maniera più o meno occulta a conclusione del secondo conflitto mondiale, patti scellerati che hanno disatteso in maniera fin troppo evidente il Trattato di Pace di Parigi del febbraio del 1947.
Obama al mondo intero ha voluto mostrare, con l’ultima cena “ufficiale”, ciò che gli USA possono fare dell’Italia e con l’Italia: l’appoggio al “Sì” referendario non è un’invadenza della sovranità nazionale italiana ma la conferma di un patto che viene dal lontano.
In queste condizioni il destino della Sicilia (e non solo della Sicilia) è tracciato e, nelle condizioni attuali, nessuno sarà in grado di cambiarlo.
Attenzione, comunque, a non cadere in errore, a non attribuire con leggerezza la specificità esclusiva di “amerikano “ a Matteo Renzi: il premier è l’operativo in campo di chi sta dietro le quinte (vedi Napolitano e quant’altri politicamente più “maturi”) e che hanno avuto e hanno “complici” in Sicilia (chi ha governato l’Isola dal dopoguerra ad oggi) che hanno permesso la pacifica e “invasione armata straniera” del territorio. Di “amerikani”, dunque, ce ne sono tanti in giro.
Così è, alla fine, se vi pare.