Gli ultracrepidari vogliono tutti servi giulivi

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di Guido Di Stefano

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Chi sono gli ultracrepidari?

Sono facilmente riconoscibili per il loro modo di apparire e di essere.

Vogliono sempre apparire come supremi e divini doni della “provvidenza”, custodi di verità, giustizia, conoscenza nonché infallibili dispensatori di premi e castighi.

Combattono tutti i “critici” con ogni arma a loro disposizione: minacce, anatemi, demonizzazione, mezzi istituzionali (anche giudiziari),  all’occorrenza con “controllate e calde” manifestazioni di piazza  e in casi estremi non si sa davanti a cosa si fermerebbero.

Scongiurano ogni “pericolo” di dialogo con la pubblica derisione rinforzata da indefinibili sorrisi di “sufficienza”.

Per dirla con l’ottocentesco  politico francese Adolphe Thiers sono più realisti del re, o meglio del loro “re pro-tempore”, chiunque esso sia. E quando il loro “re” consente loro di scorazzare  liberamente nella “sala del trono”, questa viene “animata” da loro con  quei lazzi e gesti (di corte)  che tanto divertivano e/o  irritavano i sovrani (o governanti) di un tempo.

Possiamo anche richiamare in vita Caio Giulio Cesare Augusto  Germanico, alias  Gaio  Cesare, alias Caligola che esaltato dal potere volle irridere la più grande istituzione collegiale Romana, cioè il Senato, nominando senatore il suo cavallo Incitatus. Non era certamente perfetto il Senato Romano, tant’è che già si diceva “Senatores boni viri, Senatus mala bestia” ovvero “i Senatori (sono) uomini buoni, il Senato (è) una bestia malvagia”: ma il rispetto e la dignità sono principi inviolabili, tanto più che nella tradizione latina troviamo senato e popolo saldamente uniti. Ci è pervenuto il famoso acronimo “SPQR” che comunque interpretato (nell’accezione corrente SENATUS POPULUSQUE ROMANUS    ) è testimonianza e prova che la vera grandezza nasce  dalle collegialità convergenti: popolo e istituzioni.

Vi sarete accorti certamente che in occidente troppe voci si sono levate a contestare le espressioni popolari; forti si sentono  le tendenze a sminuire anzi a svilire tutto quello che sa di pluralità e collegialità: grazie al lavoro e l’intima solidarietà degli ultracrepidari, a nostro avviso.

Già  gli ultracrepidari!

Questi esseri dilaganti  umani che snobbano gli “altri”; questi esseri umani sviluppatisi in seno a “circoli”, più o meno ristretti ma saldamente agganciati a quelli similari, dove si praticano i culti neocon e neoliberali, entrambi correlati al neocolonialismo ammantato da nuovo ordine mondiale!

Esasperano fino all’universalismo il valore del loro circoscritto e  delimitato sapere e la perfezione del loro operare, per lo più asservito a interessi di bottega o, se si vuole, lobbistici; ovviamente negano i fallimenti ed esaltano le immaginifiche vittorie “consacrate” a tutti (?), circuendo e circonvenendo le vittime, gli oppressi, i disperati. Tranquillamente passano da un errore all’altro, da un inganno all’altro e applaudono un re dopo l’altro, abusando della pazienza del più grande organo collegiale, il popolo, sulle cui distrazioni e dimenticanze  (spontanee o indotte) fanno grande affidamento. E a ogni latitudine e “con ogni stagione” privilegiano le risorse umane del loro ristretto “eco-sistema” costruendo magnifici cerchi magici  “geneticamente” compatibili.

Ma noi abbiamo grande fiducia nei popoli: nei tempi passati e anche nel presente hanno ripetutamente riservato  sorprese,  incomprese e inaspettate per tutti quelli che del mix saccenteria-arroganza hanno fatto il loro cavallo di battaglia.

Donde viene il termine ultracrepidario?

Fu il saggista William Hazlitt (dotato di intelletto) a coniarlo e utilizzarlo  per la prima volta nel 1819 contro William Gifford,  direttore del Quarterly Review,  per definirlo “Ultra-Crepidarian critic”. Ovviamente volle in forma elegante racchiudere in un solo termine il pensiero condensato  dal sommo pittore Apelle di Coo contro un ciabattino “montato di testa” in una sintetica espressione: “sutor, ne ultra crepidam” o “ne supra crepidam sutor iudicaret” (il ciabattina non giudichi al di là (al di sopra) della scarpa”.

Quando (e a opera di chi) ci “affrancheremo” noi che, trattati da servi della gleba,  siamo sotto i valvassini, a lo volta sotto i valvassori, soggetti ai vassalli, docili creature dei re, benedetti da un imperatore (laico o religioso)?  Stiamo usando termini medievali: però questa è la nostra tragica situazione, che ci pone alla base della piramide con la nostra isola precipitata al rango di in feudo ordinario. Eppure fu regno, dominò nel Mediterraneo e ha i titoli per essere  nazione  !

Grazie a chi? Provate a immaginare!

 

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