di Carlo Barbagallo
La recente trasferta/tour di Matteo Renzi in Sicilia ha suscitato entusiasmo e aspettative nei “soliti noti”: è così quando si preannunciano fondi da destinare alle imprese (al Sud come al Nord). Quale è in realtà la “sostanza” nelle parole del premier “italiano” che guarda all’Isola come un Eldorado scoperto da altri e per lui tutto nuovo, nonostante che per ben quattro volte in pochi mesi abbia già fatto scalo “interessato”?
Il nocciuolo sta proprio nel termine “interessato”. A cosa? È molto semplice la risposta: a poca distanza dalla giornata in cui si voterà per la riforma Costituzionale, i sondaggi danno in vantaggio il NO sul SI’, e indicano, fra l’altro, un pesante astensionismo, e a questo punto i voti che esprimerà la Sicilia (così come i voti dall’estero) potrebbero essere decisivi per una ripresa a favore della Riforma e, quindi, un ribaltamento della situazione attuale.
Accadrà così? È nostra opinione (ma potremmo essere in errore) che Renzi abbia fatto (come suol dirsi) i conti senza l’oste. Il premier indubbiamente tiene nel debito conto la “capacità” di aggregazione (più o meno clientelare, purtroppo e per “necessità”) che ancora riescono a mantenere i suoi proconsoli nella regione. Quei proconsoli che (sempre purtroppo) sanno approfittare dello stato d’animo dei Siciliani che non credono da tempo alla politica e si trincerano nella protesta dell’astensionismo, mentre da “proconsoli” sanno ben guidare quanti a tutt’oggi sperano nella “raccomandazione” per potere lavorare.
Ed ecco il bluff: gli incentivi alle imprese. Incentivi che durano appena un anno e consentono alle aziende (alla fine) di potere usufruire di una forza-lavoro che, per loro, sarà solo temporanea, per come è stato dimostrato per esperienza passata.
Da condividere quanto scritto da Flavia Amabile ieri (18 novembre) sul quotidiano La Stampa: Gli incentivi del Jobs Act confermati per tutto il 2017 solo per il Sud, 730 milioni pronti a essere investiti, le aziende meridionali potranno assumere ancora per un anno giovani e disoccupati in regime di totale decontribuzione. È l’annuncio arrivato mercoledì dal presidente del Consiglio Matteo Renzi che ha promesso di voler far ripartire l’economia al Sud e di non voler commettere gli errori del passato dando scarsa attenzione alle regioni meridionali. Ma il suo annuncio ha diviso però il mondo delle imprese. Da un lato c’è chi lo ritiene un fattore positivo, dall’altro chi lo considera poco utile a risolvere i problemi di quella parte d’Italia (…).
La questione è tutta in questa frase: promessa o verità che siano gli incentivi, a conti fatti poco utile a risolvere i problemi di quella parte d’Italia.
Il quotidiano La Stampa ha avviato un sondaggio sulla novella degli incentivi, ed ecco cosa ne pensa Vincenzo Divella, cavaliere del lavoro, amministratore delegato della Divella Spa, l’azienda della pasta che ha il secondo posto in Italia: La decontribuzione per nuove assunzioni può servire ma senza farsi troppe illusioni, senza pensare che aziende come la mia possano assumere 20 persone in più o che si risolvano finalmente i problemi dell’economia meridionale (…). Ci vogliono misure più generali che ridiano vigore ai consumi, che rimettano in moto l’economia (…).
Come è stato scritto in precedenza, citando i dati dello Svimez, Il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese, e in Sicilia e in Campania sfiora il 40 per cento. Dunque il rischio di cadere in povertà in Sicilia sfiora il quaranta per cento, nonostante che in Sicilia esistono le risorse e tutte le possibilità di sviluppo, quello sviluppo sempre promesso da politici e governanti che in quest’Isola non si è mai avuto dalla fine del secondo conflitto mondiale. Una situazione che è stata delineata chiaramente dal presidente di Confcommercio Sicilia, Pietro Agen, nell’intervista rilasciata ieri al nostro giornale.
C’è da chiedersi, a questo punto, se i Siciliani hanno compreso pienamente il valore delle parole pronunciate dal premier Italiano Matteo Renzi, e se si decideranno a uscire dal letargo dell’astensionismo andando a votare per il Referendum, attenendosi ai fatti e non ai giochi di prestigio.