Allarme povertà: c’è chi spinge la Sicilia alla ribellione?

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di Carlo Barbagallo

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Sorge un dubbio che costringe a riflettere: c’è chi spinge la Sicilia alla ribellione? Il dubbio scaturisce dai continui “allarmi” sulla situazione socio-economica.occupazionale in cui versa il Sud e in particolare la Sicilia, che le statistiche degli Istituti di analisi e ricerche nazionali propongono continuamente all’attenzione. Statistiche che vengono riprese dai mass media con fin troppa enfasi. La drammatica condizione in cui vive la Sicilia è più che nota da anni e anni sia ai Siciliani, sia a chi governa la regione, sia a chi governa il Paese: ben poco si è fatto per cambiare lo stato delle cose. Nel corso del tempo sono rimaste sono le promesse dei vari leader politici in occasione delle competizioni elettorali del momento.

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Così a pochi giorni di distanza dal rapporto annuale del Censis nel quale veniva evidenziato il “disagio sociale” in una visione preoccupata che l’istituto di ricerca ha del Paese mettendo in luce che i giovani vivono un vero e proprio ko economico e in questo periodo storico sono più poveri dei loro nonni, ecco che vengono fuori le statistiche dell’Istat che ritiene in 17 milioni 469 mila le persone a rischio povertà o esclusione sociale sostenendo che al Sud quasi 1 su 2 persone è a rischio povertà-esclusione. In Sicilia non si “calcola” più il “rischio” perché questa condizione appare superata da chi la vive direttamente.

L’agenzia Ansa, riporta i dati Istat in maniera chiara: È allarme povertà ed esclusione sociale in Sicilia. Oltre 2 milioni e 700 mila persone rischiano di rimanere ai margini e il dato è in aumento: dal 54,4% di due anni fa al 55,4% dell’anno scorso. Il pericolo di ridursi in povertà è in crescita di 2,2 punti (dal 40,1 al 42,3%), così come sale il numero di persone che vive in uno stato di grave deprivazione, dal 26 al 27,3%. L’impietosa fotografia emerge dal report dell’Istat su “condizioni di vita e reddito”. In Sicilia, secondo l’indagine, la gente vive in condizioni peggiori rispetto alle altre aree del Paese. L’isola ha i tassi più alti in assoluto di povertà, deprivazione e bassa intensità lavorativa. Il rischio povertà e grave deprivazione è più del doppio rispetto alla media nazionale.

È come girare il coltello nella piaga: “sbandierare” il male che sta distruggendo un territorio, senza possibilità di cambiamento all’orizzonte. Si “vuole” uccidere definitivamente anche la speranza? Oppure adagiarsi sul detto “la speranza è morta” e quindi spingere alla disperazione?

Il dubbio che costringe a riflettere: c’è chi spinge la Sicilia alla ribellione? L’informazione è uno strumento consapevole o inconsapevole di una strategia mirante ad esasperare gli animi dei Siciliani che già versano in condizioni di grande “disagio”? Non sappiamo rispondere a questi interrogativi, né ci piacciono le teorie complottiste. Ci vengono in mente però le osservazioni fatte da Valter Vecellio in un recente articolo su questo giornale in merito alla lezione della propaganda nazista. Vecellio ricordava come Joseph Goebbels, la “mente” propagandistica di Hitler, elaborò alcuni principi comunicativi di “aggressione” che ancora oggi possono risultare validi:

  • Esagerare sempre, e qualunque buccia di banana del “nemico” farla diventare una gravissima minaccia per la comunità.
  • Poche idee, pochissimi concetti, e ripeterli instancabilmente, declinarli in tanti modi, ma la conclusione deve essere sempre la stessa. Mai dubbi, mai incertezze: una menzogna ripetuta all’infinito diventa verità.
  • Fabbricare argomenti fittizi a partire da fonti diverse, e non importa se sulla base di informazioni parziali e/o incomplete.

Nel caso in specie c’è poco da “inventarsi” a fronte di una realtà che è sotto gli occhi di tutti. Il problema è se questo sollecitare la “disperazione” del Sud, della Sicilia, alla fine non abbia anche lo scopo di provocare ulteriore destabilizzazione (volontariamente oppure no, il succo non muta) in un’area del Paese che destabilizzata è già, e che è al limite di rottura.

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