Dopo il NO: freddo po(po)lare, ma Renzi è ibernato solo a tempo

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di Salvo Barbagallo

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Dopo in NO referendario e le annunciate dimissioni del premier. Al di là delle attuali strategie in corso fra le compagini politiche, al di là delle stesse decisioni dilatatorie con l’alibi del completamento dell’iter parlamentare della manovra economica per scongiurare i rischi di esercizio provvisorio, i risultati del Referendum offrono due dati incontestabili:

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  • Primo punto: la Costituzione Italiana non si tocca e deve essere solo applicata, e qualora qualche norma in essa contenuta è opportuno cambiare, ciò deve essere fatto con una condivisione politica complessiva nella quale la volontà popolare deve avere il suo ruolo determinante.
  • Secondo punto: il risultato referendario, esclusa (forse) la parte che ha fatto riferimento al SI’, è attribuibile solo marginalmente alle compagini politiche dell’opposizione. Ciò è dimostrato dall’alta affluenza alle urne che nessuno (da una parte o dall’altra) aveva messo in conto. Come dire che il NO è una chiara “espressione” della volontà di una collettività stanca di essere mal governata, che ha reagito nel momento in cui ha visto in pericolo il pilastro principale della stabilità e della democrazia nel Paese, la Costituzione.
matteo-renzi
Dimissioni Matteo Renzi

Sottolineati questi due punti incontrovertibili, si possono spiegare gli attuali giochi di potere: congelamento “a tempo” delle dimissioni annunciate del premier Matteo Renzi, la richiesta da parte dei componenti l’attuale maggioranza di Governo delle elezioni anticipate, che fa pendant con l’identica richiesta delle opposizioni.

Non hanno convinto i momenti di commozione del premier (qualche pseudo lacrimuccia, la first lady a pochi passi di distanza a sorreggerlo) nell’attimo in cui confessava la sua sconfitta, annunciando le dimissioni, così come gli occhi bagnati di pianto della ministra Elena Boschi che potevano esprimere tutto, dalla tristezza per il suo fallimento, al rammarico fino alla rabbia feroce poco controllata. Alla fine (ma possiamo essere in errore) una sceneggiata degna delle migliori fiction che provengono d’Oltre Oceano e che la RAI governativa ci trasmette con canone obbligato e tanta, tanta pubblicità in mezzo.

Gli sconfitti della consultazione referendaria non avevano calcolato la grande partecipazione di votanti; ma già di certo per il rilancio possono basarsi sul quel quaranta per cento che ha segnato il SI’ nella scheda elettorale, convinti che quel sessanta per cento del NO non appartiene tutto a Grillo, a Salvini o a Berlusconi. Il congelamento ha, dunque, tante facce nascoste che (forse o sicuramente) riappariranno fra pochi giorni, quando lo stato emotivo dei protagonisti della kermesse verrà considerato “rasserenato”. L’establishment nazionale e (soprattutto) internazionale che ha sorretto e sorregge Matteo Renzi non può permettersi altri errori: la solidarietà al premier autorottamatosi pubblicamente proviene non solo d’Oltre Oceano, ma anche dall’interno dell’Europa, Germania in testa. Dimissioni congelate a tempo, la legislatura (tranne ulteriori imprevisti) avrà il suo seguito naturale, con Renzi o senza Renzi, con qualcuno dello stesso apparato che riceverà il mandato dal Presidente della Repubblica.

Matteo Renzi con Enzo Bianco
Matteo Renzi con Enzo Bianco

Il Capo dello Stato avrà seguito con (molta) attenzione lo svolgersi e la conclusione della consultazione referendaria: Sergio Mattarella (da Siciliano doc quale è) avrà compreso molto bene già il segnale che viene dalla sua Isola, dove il 71,58 per cento dei votanti ha detto NO ed esprimendosi in questi termini non hanno voluto dire NO soltanto in riferimento al tentativo di distruggere la Costituzione, ma hanno espresso un NO secco a chi governa il Paese, a chi governa la regione. Una lucidissima analisi del voto referendario in Sicilia è stata scritta (ed è opportuno riprenderla in quanto ineccepibile) da Giuseppe Pipitone su Il Fatto Quotidiano: Un risultato ancor più clamoroso se si considerano i dati provenienti dai due centri più grandi: a Palermo, la città del sottosegretario Faraone, dove Renzi ha fatto praticamente tappa fissa nei week end (compreso l’ultimo giorno di campagna elettorale), il No sfiora il 73%. Batte ogni record nazionale, invece, Catania che con il 75% di No è il capoluogo di provincia maggiormente contrario alla riforma firmata da Maria Elena Boschi. E pazienza se si tratta della città amministrata dal renzianissimo Enzo Bianco, che quest’estate era riuscito a portare sotto l’Etna la festa nazionale dell’Unità: il voto di 3 elettori su 4 non ammette repliche. Non va meglio nelle province dei cacicchi arruolati per l’occasione sotto le insegne del Sì: nella Caltanissetta di Totò Cardinale, l’ex ministro dalemiano diventato king maker della campagna renziana, il No supera i 71 punti percentuali, nella Siracusa del sindaco Giancarlo Garozzo i contrari alla riforma sono il 71,75%, poco più di quelli registrati a Messina (69,55%), città dell’ex ministro Giampiero D’Alia che pur di sostenere il Sì è uscito dall’Udc di Lorenzo Cesa. Persino a Enna, il feudo elettorale di Mirello Crisafulli, storico nemico dei renziani poi arruolato come uomo sandwich per il Sì, il No ha sbancato con il 67% dei voti (…).

Cosa significano i numeri che Giuseppe Pipitone ha riportato così puntigliosamente, accostandoli a chi (mal) governa la Sicilia? La collettività ha detto “basta” e lo ha voluto dimostrare. L’establishment nazionale e internazionale sbatterà duramente contro questa realtà. Il gioco del “potenti” di turno è stato scoperto e (forse) le sceneggiate saranno considerate per quel che sono: solo sceneggiate…

 

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