Bisogna ricordare cos’è la “bellezza”, cos’è il “viaggio”. Tornare alla “Divina Commedia” e alla “Sacra Bibbia”

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FORSE “BISOGNEREBBE RICORDARE ALLA GENTE CHE COS’È LA BELLEZZA”…

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E CHE COS’È IL VIAGGIO.

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FORSE BISOGNEREBBE TORNARE A “LA DIVINA COMMEDIA”… 

E ALLA “SACRA BIBBIA”

di Giuseppe Stefano Proiti

Forse ancor peggio dei politici sperperatori, concussi e corrotti, sono quegli scrittori che facendo credere ai lettori che parlano di realtà, in realtà, scrivono di fantasmagoria, prospettando un’immagine distorta della “verità effettuale della cosa”, tanto per citare un’espressione felice di Niccolò Machiavelli.
Forse, a codeste persone, bisognerebbe ricordare che sull’intellettuale che voglia occuparsi di realtà e non di fantasmagoria, ovvero che voglia descrivere mirabilmente i luoghi e la vita della sua gente, grava un onere precipuo:  orientare la società civile a perseguire e raggiungere il bene comune. Questo lo può fare solo chi parla e trasmette l’amore, non chi infanga il “terreno” della sua nazione, non chi, trovandosi agiato a una distanza abissale, guarda “dall’alto” e descrive il modo in cui una “terra” affonda nella melma, senza abbassarsi per tendere una mano d’aiuto. Occorre sollevare chi sta per annegare, anche al costo di morire in mezzo alle tempeste delle sciagure umane.
Forse a quest’immagine triste, drammatica, e pregna di finzione, bisognerebbe contrapporre la verità della scena del film “Il conte di Montecristo”, che chiuso dentro un sacco e gettato da un burrone, risale dagli abissi del mare, appropriandosi del respiro infinito della libertà.
Forse a questa gente, bisognerebbe parlare del sangue e della sofferenza su una croce, di un vento solitario di montagna, che acuiva l’agonia e il dolore di chi donava al mondo il calore di un immenso sole e la forza instancabile del mare.
Forse, bisognerebbe tornare all’Italia visionaria di quell’intellettuale che faceva sognare chi stava al potere, e proprio per questo lo trattavano come una risorsa rara, perché l’unico in grado di dire cose nuove, dunque l’unico in grado di creare. Era Gabriele D’Annunzio.
Forse, bisognerebbe tornare al miraggio di quel “viaggio” che cercava nella luce della parola la purezza della forza espressa in tal chiarezza: “Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo,fino a quando non comincia a splendere”. (Emily Dickinson)
Ma bisognerebbe, forse, risalire sempre più nel tempo, per rendersi conto che, la parola, è capace di costruire “tutti i mondi possibili”. Lo sosteneva Dante Alighieri.
D’altronde il testo letterario per antonomasia (La Divina Commedia) è il “logos” entro cui si muove l’opera dell’artista. Essa si colloca border-line tra il mondo reale e il mondo virtuale. Dante ha fatto il viaggio e l’ha anche immaginato. Il reale non è un “unicum”, ma un elemento che contiene in sé dei singoli frammenti d’immaginazione. L’opera d’arte si colloca tra il reale e il virtuale. Dante non ha vissuto praticamente il viaggio, ma la sua capacità d’immaginazione è stata tale che, quel mondo virtuale, era reale tanto quanto il vero mondo. Kant dà una definizione accettabile di opera d’arte: noi percepiamo un oggetto, che arriva alla nostra mente come immagine e lì prende forma, è come se la nostra mente fosse una stanza di lavoro dove si rielabora il materiale e gli si attribuisce una forma che, pur non esistendo nella realtà, è reale per certi aspetti. E’ stato Edgar Allan Poe a creare quei “corridoi” che portano al collegamento tra realtà e il virtuale.
Se c’è un testo in cui la parola ha un potere di creare mondi ed oggetti, questo testo è la Divina Commedia. Non c’è altro testo al mondo in cui la parola abbia il potere di costruire tutti i mondi possibili come la “Commedia”. Un poeta russo, Masinstein, diceva che la Divina Commedia è “una cattedrale straordinariamente costruita”. Una cattedrale con le pareti di cristallo, che sono le parole di Dante che permettono di vedere all’interno, e hanno un potere tale da essere senza peso. In Dante, la parola scivola via nell’etereo e rimanda a delle immagini che restano nel presente. La parola è talmente intensa e costruttiva che porta a dimenticare che è una parola, per comprendere ciò di cui parla, e quello che resta è tutto. Dante inizia subito a parlare di tutte le emozioni possibili sin dalla “Vita Nova”, e la prima figura femminile che troviamo è una giovane donna che colpisce l’immaginazione del giovane amante.
Una buona testimonianza, insomma, dell’indispensabilità della donna per l’uomo e viceversa.
Non c’è niente di più, se si considera l’essenziale, nel voler parlare di questo mondo e di questa terra.
Forse c’è che Umberto Eco, scriveva: “la scrittura è un’immortalità all’indietro”… e forse … bisognerebbe tornare al “punto primo”, dove la parola è nata e ha avuto origine… la vita.

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