di Salvo Barbagallo
Si parla sempre meno del flusso (mai interrotto) di migranti/profughi salvati nel Mediterraneo e sbarcati nei porti siciliani; si parla da mesi e mesi di “processi di pace” avviati e (fino ad oggi) rimasti in alto mare insieme alle centinaia di fuggitivi che hanno perduto la vita nel loro periglioso viaggio della speranza… Si parla sempre meno sui mass media dei gravi problemi che stanno distruggendo un Paese a due passi da casa nostra, e ancor meno delle ripercussioni negative che si possono avere per l’Italia e, soprattutto, per la Sicilia. La principale attenzione è concentrata sul nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, e a cercare d’individuare (quasi esclusivamente) i lati oscuri di questo personaggio e di mettere (in un modo o in un altro) in ridicolo i componenti della sua famiglia. L’informazione procede in questo modo, con i tempi che corrono. E pertanto non c’è da stupirsi se passa quasi inosservata (e in ritardo di giorni) la notizia del mitragliamento da parte di motovedette libiche di pescherecci siciliani in attività in acque internazionali. Notizia data dall’Agenzia Ansa, che non siamo riusciti a (ri)trovare sui quotidiani nazionali: “Lo scorso 16 gennaio tre pescherecci mazaresi, mentre erano impegnati nell’attività di pesca in acque internazionali, tra le 18 e le 20 miglia antistanti le coste delle città libiche di Bengasi e Derna, sono stati raggiunti da colpi di mitra sparati da militari a bordo di una motovedetta libica”. Giorni prima si era verificata un’altra aggressione, subita dal peschereccio “Principessa Prima”.
A informare dell’accaduto il premier Paolo Gentiloni è stato il presidente del Distretto mazarese della pesca e crescita blu, Giovanni Tumbiolo con una sua lettera, mentre il sindaco di Mazara del Vallo, Nicola Cristaldi, con una sua dichiarazione ha tenuto a sottolineare che “Non è più concepibile che i nostri pescatori, che costantemente danno la loro fattiva collaborazione per il salvataggio di naufraghi, siano oggetto di tentativi di sequestro e addirittura gli si spari addosso. Il nostro governo nazionale e l’Unione europea debbono prendere una posizione chiara sull’intera vicenda per garantirne l’incolumità”.
Una situazione grave, che si ripete periodicamente, ed ora ancora più pesante dal momento che il Governo italiano sta appoggiando in prima linea il Governo di Fayez al Sarraj voluto dall’Onu. È proprio Fayez al Sarraj in un’intervista rilasciata ieri (25 gennaio) a Lorenzo Cremonesi, inviato a Tripoli da Corriere della Sera, che afferma: “Grazie all’Italia per il suo ruolo coraggioso da apripista per la stabilizzazione della Libia (…) Tra Italia e Libia c’è sempre stata una relazione privilegiata e speciale. Per motivi geografici, storici, culturali voi ci siete vicinissimi, siete il più prossimo dei Paesi europei. L’Onu e l’Europa hanno sostenuto il nostro governo sin dalla sua nascita, ma l’Italia è sempre stata la più attiva e coerente nel darci il suo incondizionato appoggio. Ve ne sono infinitamente grato (…).
A parte i ringraziamenti (dovuti e diplomatici) c’è da dire che ben poco questo Governo di Fayez al Sarraj ha fatto (o sta facendo) per limitare le partenze dal suolo libico dei barconi stracolmi di migranti/profughi, o per proporre soluzioni significative, se non risolutive.
Ieri si è aperta a Bruxelles la settimana europea dedicata ai migranti. Alberto D’Argenio sul quotidiano La Repubblica ha annotato: “L’aspirazione degli europei è di “fare la differenza in vista della primavera e dell’estate 2017” sulla rotta mediterranea e in Libia sigillando i porti libici dai quali partono i migranti diretti verso Italia e Malta. Con questa idea si apre una settimana che può essere decisiva per risolvere il dramma del Canale di Sicilia oppure rivelarsi un nuovo fallimento europeo. Con l’obiettivo dei capi di Stato e di governo dell’Unione di mandare navi europee a combattere i trafficanti in acque libiche o, in alternativa, di formare un blocco navale (“line of protection”) gestito da Tripoli davanti ai porti e alle spiagge dai quali gli sfruttatori fanno partire i barconi con il loro carico umano (…). E allora c’è da chiedersi: il “blocco navale” definito “Line of protection, perché in prima istanza, e da tempo, non lo ha posto in atto lo stesso Fayez al Sarraj con le sue motovedette militari?