Quale “convivenza” con il terrorismo in casa nostra?

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di Salvo Barbagallo

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Gianandrea Gaiani con un suo articolo (su Il Mattino e Analisi Difesa 6/7 gennaio) evidenzia come “Il quadro fornito dal governo italiano circa la minaccia terroristica, il ritorno dei foreign fighters dai fronti bellici del Medio Oriente e la radicalizzazione islamica in Italia mostra i limiti già riscontrati in tutte le analisi e i rapporti stilati in Europa su questo tema”. 

È una verità incontestabile. Approfondimenti e analisi sono necessari più che mai, però, alla fine quel che contano sono i fatti criminosi che si verificano quotidianamente sia in Europa sia nei vicini Paesi dove guerre interne ed esterne continuano a sconvolgere e a destabilizzare nella sofferenza le popolazioni. Gaiani continua sulle sue osservazioni “concrete”: Se la minaccia si è decuplicata in un paio d’anni per dormire sonni sereni non basta apprendere che 133 estremisti sono stati espulsi dall’Italia e che i “nostri” foreign fighters sono solo un centinaio sui 25 mila stimati provenienti da tutto il mondo di cui oltre 5 mila europei. Qualche perplessità destano anche gli strumenti con cui l’Italia sembra voler contrastare i rischi legati al ritorno dei miliziani che hanno militato con lo Stato Islamico e i qaedisti del Fronte al-Nusra. La “rieducazione” di uomini che hanno compiuto crimini orrendi in nome del jihad, ventilata dal ministro Marco Minniti, venne evocata già la primavera scorsa dal coordinatore Ue per la lotta al terrorismo, Gilles de Kerchove. Non si tratta di recuperare alla società alcolisti o tossicodipendenti, ma di gestire assassini convinti di combattere per la giusta causa. Uomini che abbiamo lasciato partire per la Siria con leggerezza (o forse volutamente poiché andavano a combattere il regime di Bashar Assad che ancor oggi l’Europa vorrebbe abbattere lasciando Damasco ai jihadisti) e che tornano quasi senza ostacoli in un’Europa che vorrebbe ingenuamente reintegrarli (…).

Il Capo della Polizia Franco Gabrielli giorni addietro ha dichiarato che non si deve  sottovalutare ma neppure amplificare: Il mondo dell’informazione, dell’intelligence, delle forze di polizia, è alimentato da ipotesi: come si usa dire lavoriamo a 360 gradi, non è un modo di dire, non sottovalutiamo niente ma non amplifichiamo nemmeno le cose (…) C’è un flusso informativo che non sempre, per fortuna, corrisponde alla realtà. Intelligence e controllo del territorio sono i due pilastri con i quali si costruisce il sistema della sicurezza nel nostro Paese (…). Molti si chiedono come è possibile combattere un nemico/ombra a fronte di una presenza musulmana molto elevata nel nostro Paese, che si arricchisce ogni giorno che passa con gli immigrati/profughi che continuano a essere sbarcati nei porti meridionali. Gaiani mette in luce che L’indagine effettuata tra gli islamici residenti in Italia rileva che il 24 per cento sostiene la violenza in nome di Allah, il 30% crede che chi offenda l’Islam e i suoi principi debba essere punito e oltre il 60% si dichiara antisemita. Circa l’integrazione la situazione è (per ora) migliore rispetto ad alcune realtà europee, ma il 20% degli interpellati abolirebbe le recite di Natale nelle scuole e il crocifisso, mentre il 44% vorrebbe rimpiazzare la nostra morale con quella islamica. Un brodo culturale perfetto per far crescere tanti Anis Amri (…).

Si è notato, infine, che la strategia del terrorismo jihadista si è trasformata, adattando maggiormente, dopo le sconfitte militari, uomini e strumenti alla realtà che deve affrontare a seguito delle “naturali e consequenziali contromisure” prese in materia di sicurezza dai Paesi presi d’assalto e da quelli che temono attacchi. Innanzitutto non più terroristi votati alla morte come kamikaze: la “fuga” di chi si è fatto protagonista di un’aberrante azione di strage è diventata elemento primario. Gli attentati a Berlino e a Istanbul sono state una dimostrazione di questa “mutazione” jihadista. Gli strumenti: l’uso di automezzi, dai Tir alle auto, come negli attacchi a Gerusalemme quattro giorni addietro, vittime quattro giovani soldati, e ad Al-Arish in Egitto due giorni addietro costato la vita a nove poliziotti.

Questo è il quadro generale e non si può nascondere come dato oggettivo, l’imprevedibilità dell’attentatore isolato, che non deve considerarsi necessariamente “cane sciolto”, semmai “partecipante” a una strategia di più ampio respiro nel tempo.

Come convivere, in questa situazione, con il “pericolo” terrorismo? Volente o nolente, vivere “normalmente” affidandosi alle forze preposte alla sicurezza della collettività. Preoccupazione e paura equivarrebbero a darla vinta a coloro che hanno come obbiettivo la destabilizzazione di un territorio, e, comunque, preoccupazione e paura non cambierebbero lo stato delle cose, ma finirebbero con l’aggravarlo. Dobbiamo affermare che ha ragione il Capo della Polizia Gabrielli: è necessario non sottovalutare, ma neppure amplificare. Così come è altrettanto necessario che chi ci governa abbandoni il vestito del “buonismo” in materia di immigrazione e valuti la situazione per quella che è, senza speculazioni di ordine pseudo-politico, e mettendo da parte i veri opportunismi di comodo.

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