di Salvo Barbagallo
L’ipocrisia (dicono in tanti) è una delle caratteristiche “governative” dell’Italia di oggi (ma anche di ieri e l’altro ieri): si parla e si “predica” la “pace”, e pur tuttavia i militari nostrani stanno un po’ dovunque nei fronti bellici attuali; si parla e si “predica” la pace, e pur tuttavia le industrie belliche di Casa nostra vendono armi (e guadagnano miliardi) a destra ed a manca. Bisogna stare molto attenti: guai ad offuscare l’immagine di un’Italia con la colomba in mano: e pur tuttavia l’Italia “governativa” continua a “mantenere” in forma stabile da un capo all’altro del proprio territorio (che, poi, è quello di tutti gli Italiani) forze militari straniere (quelle made in USA) fortemente equipaggiate (anche con ordigni nucleari). Solo “ipocrisia governativa”?
Nei giorni scorsi è giunta in Parlamento la relazione governativa annuale dell’export di armi italiane: è stata presentata con orgoglio, dicono le fonti qualificate. Un giro d’affari quasi raddoppiato nell’ultimo anno: 14,6 miliardi di autorizzazioni rilasciate nel 2016 contro i 7,9 miliardi del 2015), e quasi sestuplicato negli ultimi due anni (2,6 miliardi nel 2014). Non c’è che dire. Più che “soddisfatto” il ministero degli Esteri che rende noto che L’Italia è riuscita a uscire dalla crisi del settore e, grazie alla capacità di penetrazione e flessibilità dell’offerta nazionale, si pone oggi a livello mondiale terza per numero di Paesi di destinazione delle vendite dopo Usa e Francia e fra i primi 10 per valore delle esportazioni. In poche parole, nella “graduatoria” dei “venditori d’armi”, l’Italia ha recuperato una posizione, dalla nona all’ottava a ridosso di Usa, Russia, Germania, Francia, Cina, Gran Bretagna e Israele. Ancora: non c’è che dire…
Dove fanno a finire gli armamenti “prodotti” dalle industrie italiane? Un quadro sufficientemente chiaro lo mostra Enrico Piovesana su Il Fatto Quotidiano: L’incremento delle autorizzazioni rilasciate nel corso del 2016 è legato all’aumento delle forniture di armamenti made in Italy impiegati nella guerra in Yemen dalla coalizione a guida saudita, condannata dall’Onu per i bombardamenti aerei indiscriminati che hanno causato la morte di migliaia di civili. Parliamo dei 28 cacciabombardieri Typhoon prodotti dall’Alenia di Torino venduti per 7,3 miliardi al Kuwait (le cui forze aeree hanno condotto almeno 3 mila raid sullo Yemen), delle 22mila bombe aeree della Rwm Italia di Domusnovas vendute per mezzo miliardo alla Royal Saudi Air Force (che, come documentato da Human Rights Watch, le impiega massicciamente in Yemen) e degli armamenti vari venduti al Qatar (impegnato nel conflitto yemenita con truppe di terra) che nel 2016 ha decuplicato le commesse italiane. Le forniture verso il Medio Oriente crescono di anno in anno, facendo di questa regione la principale area geopolitica di esportazione per l’industria bellica italiana con vendite per oltre 8,6 miliardi, pari a quasi il 60 per cento del totale. “Questo dato – commenta Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia – conferma una tendenza allarmante nella politica italiana di esportazione di sistemi militari degli ultimi anni, che contribuisce ad alimentare i conflitti che insanguinano la regione mediorientale e a ingrossare i flussi di profughi e rifugiati verso l’Europa”.
Papa Francesco, al suo ritorno dalla trasferta in Egitto, ha affermato: La guerra mondiale a pezzi di cui parlo da due anni è sì a pezzi, ma ora i pezzi si sono allargati e concentrati in punti che già erano caldi. Dei missili coreani si parla da un anno, ma adesso sembra che la cosa si sia scaldata troppo….Io chiamo sempre a risolvere i problemi sulla strada diplomatica perché è il futuro dell’umanità. Oggi una guerra allargata distruggerebbe non dico metà ma una buona parte della umanità, sarebbe terribile. Guardiamo a quei paesi che stanno soffrendo una guerra interna, in Medio Oriente, Africa, Yemen. Fermiamoci. Cerchiamo una soluzione diplomatica (…). Sante parole in aperta contraddizione con la “politica” della vendita delle armi in Italia, un Paese nel quale è inserito lo Stato del Vaticano…
E la questione dei profughi (una volta definiti clandestini, dopo migranti) che continuano ad essere sbarcati nei porti della Sicilia? Ricambiamo con l’accoglienza quei profughi che fuggono dalle guerre che, a conti fatti, vengono alimentate (direttamente o indirettamente) anche dall’uso di quei materiali bellici che escono dalle fabbriche italiane?
Solo ipocrisia governativa?