17 giugno 1945, una data che la cosiddetta storia ufficiale d’Italia (o chi l’ha scritta e la scrive ancora) ha volutamente cancellato. Eppure questa data per l’Italia dovrebbe significare qualcosa, dal momento che in quel giorno di 72 anni addietro si consumò uno dei misfatti più gravi di un Paese appena uscito dalla guerra, con un Governo “provvisorio” e che ancora non aveva trovato la strada per il suo futuro. Quel 17 giugno del 1945 veniva assassinato in circostanze mai chiarite il professore Antonio Canepa, capo dell’EVIS (Esercito Volontario Indipendenza Siciliana) che voleva una Sicilia “Indipendente”, non legata all’Italia. Un personaggio che doveva essere eliminato necessariamente per non rischiare un effetto domino in altre regioni.
Ogni anno, in questa ricorrenza, gruppi sparuti di Sicilianisti ricordano quell’episodio nella strada che porta a Randazzo, dove un ceppo indica il presunto luogo dove venne ucciso, in un presunto conflitto a fuoco con carabinieri, Antonio Canepa e due militanti dell’EVIS, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice. Altri che non vogliono spingersi sino alla pendice dell’Etna, portano fiori sulla tomba dove sono custoditi i resti dei tre “guerriglieri”, nel viale degli Uomini Illustri nel cimitero di Catania.
Tante volte descritta quella vicenda alla quale gli organismi istituzionali non hanno mai dato risposte esaurienti. Per non ripeterci riportiamo quanto pubblicato lo scorso anno: il “contenuto” di quell’articolo è come se fosse stato scritto oggi.
20 giugno 2016 – La Voce dell’Isola
Antonio Canepa 17 giugno 1945: la memoria cancellata
di Salvo Barbagallo
Avrebbe stupito tutti, e soprattutto i Siciliani, il Capo dello Stato Sergio Mattarella (Siciliano) se nel festeggiare l’anniversario della Repubblica avesse ricordato gli avvenimenti che precedettero la nascita della nuova Italia e avesse ricordato la “concessione” alla Sicilia dell’Autonomia Speciale con “Speciale” Statuto prima ancora che la Repubblica Italiana nascesse, e il perché quell’Autonomia venne data.
No, non è il tempo delle “meraviglie” o degli “stupori” nel Paese che dà medaglie a chi si è macchiato d’eccidi in patria (vedi quella a Valentino Bortoloso a Schio), nel Paese dove “tutto va bene” e dove la memoria è stata scientificamente cancellata per evitare che le generazioni che non hanno vissuto gli anni tragici della guerra potessero conoscere verità scomode e inconfessabili.
Non crediamo che il Capo dello Stato abbia perduto la sua memoria, ma che probabilmente ha ritenuto non opportuno in questi giorni di pace rinverdire eventi che potrebbero riaprire contenziosi mai sanati tra lo Stato e la sua regione più a sud, la Sicilia. D’altra parte lo stesso presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, non poteva avere alcun interesse a riportare a galla episodi che hanno segnato la sua Terra in netto contrasto con l’Italia d’allora e l’Italia d’oggi.
Perché si dovrebbe “commemorare” una data come il 17 giugno del 1945, una data che aprì in Italia la stagione dei delitti di Stato e la stagione dei compromessi?
Già, il 17 giugno 1945, il giorno in cui venne “assassinato” nelle campagne di Randazzo Antonio Canepa, il professore che aveva creato l’EVIS, l’esercito di volontari che auspicavano una Sicilia Indipendente.
Già, quell’Indipendenza della Sicilia richiesta dalla maggioranza della collettività da quando l’Isola era stata “liberata” dalle truppe angloamericane e quando ancora le sorti del conflitto mondiale erano incerte.
Oggi vengono chiamati “buchi neri” i fatti che accadono ovunque che non trovano spiegazioni o soluzioni, Una volta, invece, venivano definiti più semplicemente “misteri”. L’Italia e la Sicilia nel corso degli ultimi settantun anni hanno collezionato una infinità di “misteri”: tanti e tanti avvenimenti, la maggior parte riferiti a crimini oppure a storie irrisolte. Probabilmente la definizione “buco nero” (black hole in inglese) si adatta meglio a certe realtà siculo-italiche. Scientificamente un “buco nero” è una regione dello spaziotempo con un campo gravitazionale così forte e intenso che nulla al suo interno può sfuggire all’esterno, nemmeno la luce. Generalizzando: nel corso degli ultimi decenni in Italia sono stati costruiti artificialmente tanti “buchi neri” da trasformarla in un Paese dello spaziotempo dove non ci sono frontiere o confini visibili, un territorio ancora sconosciuto. Chi intendesse esplorare questo Paese correrebbe l’evidente rischio di rimanere inesorabilmente intrappolato al suo interno: in passato, infatti, chi ha tentato l’impresa non è più tornato per riferire sulle sue scoperte.
Nel rapporto Sicilia/Italia non ci sono buchi neri ma verità abilmente nascoste dopo avere cancellato altrettanto abilmente le memorie. Parlare delle istanze indipendentiste della Sicilia è anacronistico, là dove si sta perdendo anche la misura della Sovranità dello stesso territorio nazionale e la dignità di un passato è affidata a pochi sopravvissuti nello scempio generale.
Così come sono stati in pochi a ricordare ieri (domenica 19 giugno) alla periferia di Randazzo, nel luogo della presunta scena del crimine, la fine del professore-guerrigliero che lottava per una Sicilia libera e democratica, Indipendente e Sovrana nell’autodeterminazione del suo futuro. E non colonia come si ritrova a distanza di 70 anni dalla nascita della Repubblica Italiana.
26 settembre 2012 – La Voce dell’Isola
La morte del capo dell’EVIS Antonio Canepa primo delitto di Stato in Italia?
Un paese che bagna i suoi passaggi epocali con il sangue e il mistero. Questa è l’Italia. Da Bronte ai briganti, da Canepa a Capaci e via D’Amelio è tutto un fiorire di momenti in cui, soprattutto nel mezzogiorno d’Italia, il dissenso e le figure scomode sono stati soffocati nel sangue e senza che venissero perseguiti a dovere i responsabili di crimini efferati. E la domanda che viene da farsi, forse inutilmente, è: quando è incominciata la stagione delle stragi dell’Italia repubblicana? Quando la stessa ancora non lo era ancora, Repubblica, e usciva, a pezzi, da una guerra disastrosa.
Quest’opinione viene certamente rafforzata dalla lettura dei due volumi (“Antonio Canepa ultimo atto” e “L’assassinio di Antonio Canepa” – nella collana Storia e Politica della Bonanno Edizioni- che compongono l’ultima fatica del direttore de “La Voce dell’Isola” Salvo Barbagallo, libri che verranno presentati in un tour di incontri che parte dalla Sicilia l’11 e il 12 ottobre, con gli appuntamenti di Catania (Giovedì 11 ottobre, alle ore 17.30, alle Ciminiere di Catania) e di Acireale.
Salvo Barbagallo ha analizzato a fondo i documenti che, con difficoltà enormi, è riuscito a raccogliere sulla morte di Antonio Canepa. Creatore e comandante dell’Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana, la sua scomparsa avvenne in circostanze mai chiarite in quel di Randazzo il 17 giugno del 1945 e l’autore, senza esplicitare fino in fondo la tesi della strage di Stato, lascia che quest’ultima affiori tra le righe della sua ricerca appassionata. Prima di Portella della Ginestra e della tragica fine di Salvatore Giuliano, prima degli attentati e delle sparizioni dei sindacalisti socialisti e comunisti nelle campagne dell’interno della Sicilia, c’era chi agiva per oscuri motivi e faceva fuori, senza troppi complimenti, chi si opponeva a disegni diversi da quelli previsti.
Delitto di Stato? Già, di uno Stato “nuovo” che ancora non era nato, e che però sapeva di non potersi permettere di perdere una risorsa strategica del suo territorio, la Sicilia. E a cui in molti, dall’estero, guardavano con occhi tutt’affatto disinteressati, nella prospettiva di rafforzare la propria presenza nel Mediterraneo.
Antonio Canepa cadde, insieme a due militanti dell’esercito indipendentista, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice, “ufficialmente” colpito a morte dai proiettili esplosi dai fucili di una pattuglia di tre carabinieri. E di questa vicenda Salvo Barbagallo ricostruisce meticolosamente l’anatomia, mettendo a disposizione di tutti i documenti nei quali sono raccolte le dichiarazioni a verbale dei protagonisti del presunto conflitto, i tre carabinieri, delle dichiarazioni dei superstiti che scamparono al fuoco dei militari, di quanti potevano essere a conoscenza di ciò che realmente era accaduto. E l’autore del libro, inevitabilmente, giunge a conclusioni non certo lusinghiere: la verità su quanto si verificò a Randazzo è stata occultata sotto una montagne di menzogne.
Il conflitto bellico si era appena concluso a livello nazionale, ma in Sicilia la “pace” era scoppiata subito dopo l’occupazione dell’Isola, governata da americani e inglesi mentre l’Italia rimaneva occupata dai nazifascisti e le sorti della guerra erano incerte. Il momento migliore per far rinascere nel cuore dei siciliani l’aspirazione all’indipendenza e soddisfare così anche le esigenze di una popolazione che voleva dimenticare le violenze subite. E a molti quest’idea apparve la formula migliore visto che nel corso di pochi mesi migliaia, centinaia di migliaia (per l’esattezza in cinquecento mila) aderirono al MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia), non ascoltando la voce di socialisti, democristiani e comunisti. Era una “pace” che non cambiava l’ordine delle cose, quella che i Siciliani vivevano: fuori i fascisti, sostituiti da un governo di occupazione presieduto da americani e inglesi e, soprattutto, con la prospettiva di andare sotto ad un governo provvisorio italiano che, come altri prima di lui, invece di ascoltare le istanze della popolazione, si presentò con manovre repressive, sedando nel sangue le rivolte provocate dalla fame.
Canepa, quindi, come protagonista principale della prima strage di Stato repubblicano? E’ la conclusione a cui si è naturalmente portati dalla lettura della mole di documenti messi a disposizione del lettore da Barbagallo. Meglio. Una prova generale di quello che, qualche anno dopo, sarebbe stato il capolavoro che portò alla fine di tutte le velleità indipendentistiche siciliane: la fine di Salvatore Giuliano, eseguita con una metodologia che conferma uno stile che, ciclicamente, si è ripresentato nel tempo, sino ai giorni nostri. Una strategia che i servizi segreti (noti e ignoti) in molti casi hanno applicato. Nella vita del nostro Paese, afferma Salvo Barbagallo, non ci sono misteri, ma (semplicemente ma amaramente) verità che vengono nascoste: come dargli torto?
Alla presentazione dei due volumi a Le Cominiere di Catania, l’11 ottobre prossimo, prendono parte Valter Vecellio, capo redattore del Tg 2 Rai (che ha curato la prefazione del primo volume), Corrado Rubino, presidente dell’Istituto per la Cultura Siciliana, Marco Di Salvo (che ha curato la prefazione del secondo volume), condirettore del quotidiano online “La Voce dell’Isola”, e l’autore dei due libri su Antonio Canepa, Salvo Barbagallo. Introduce e modera l’incontro il giornalista e scrittore (già capo redattore delle pagine Cultura del quotidiano “La Sicilia”) Salvatore Scalia.
20 settembre 2015 – La Voce dell’Isola
Ancora oggi la parola “indipendentismo” allarma
di Salvo Barbagallo
Se pronunciate la parola “indipendenza” nel contesto di un Paese che presenta instabilità, allora noterete che negli ambienti governativi o politici si crea subito preoccupazione, a volte anche allarmismo. Ma che significa, in fondo, questa parola che può suscitare reazioni a vari livelli e magari contrastanti? I dizionari mostrano diverse sfaccettature del termine “indipendenza”: il Sabatini Coletti per “indipendenza” indica la “Libertà di agire secondo il proprio giudizio e la propria volontà”, il Treccani come la “Condizione di chi o di ciò che è indipendente, riferito sia a stato o nazione, sia a persona, sia a cose, fatti, ecc”, il Garzanti come “La condizione di chi non dipende da altri”, insomma la “Capacità di sussistere e di operare in base a principi di assoluta autonomia”. Da “indipendenza” a “indipendentismo”, il passo è facile. Indipendentismo? I dizionari lo indicano come “atteggiamento” o come “orientamento”: “Orientamento di coloro che propugnano l’indipendenza della propria nazione, del proprio territorio o del proprio partito politico” (dizionario Hoepli).
In realtà più che un atteggiamento o un orientamento è un “sentimento” radicato in quanti aspirano a una “indipendenza” (quale che sia, e nei livelli socio-economici-militari di un territorio che non è considerato o non si “sente” sovrano. Ebbene le parole “indipendenza, indipendentismo” suscitano allarme, così come sta avvenendo in questi giorni in Spagna dove in Catalogna fra sette giorni si vota e dove i “secessionisti” sono dati per favoriti: la Confederazione Casse di Risparmio (Ceca) e l’Associazione della Banca (Aeb), le due grandi associazioni del settore bancario spagnolo, hanno minacciato (diramando una nota congiunta) di ritirarsi dalla Catalogna se diventerà indipendente. Le due banche chiedono che “venga tutelato l’ordine costituzionale” spagnolo e “l’appartenenza alla zona euro di tutta la Spagna”. Barcellona il prossimo 27 settembre giunge a un voto che può rappresentare l’inizio del processo di indipendenza del territorio regionale che verrà trasformato in un nuovo Stato, nonostante l’opposizione di Madrid. Il governo spagnolo, infatti, ha negato il referendum sull’indipendenza, bollandolo come anticostituzionale e Barcellona ha dovuto rinunciare al voto esplicito sul proprio futuro, il presidente catalano uscente, Artur Mas, ha però aggirato l’ostacolo trasformando le imminenti elezioni regionali in un pronunciamento sull’indipendenza. Con la nascita di un nuovo Stato, l’adesione della Spagna all’Unione Europea andrebbe ridiscussa, così come si verificò per i Paesi balcanici che hanno chiesto di entrare nell’Ue. L’indipendenza della Catalogna costituisce un “pericolo” immanente: c’è il rischio concreto che l’esempio catalano possa trovare molti imitatori, a partire dai baschi. La Spagna, se nelle elezioni del 27 dovesse passare l’indirizzio secessionista (e i sondaggi vanno in questa direzione) rischia di esplodere.
In Italia la questione dell’indipendentismo è stata posta poco tempo addietro per quanto attiene la situazione di degrado politica ed economica della Sicilia dal politologo (e altro) americano Edward Luttwak in un’intervista concessa a Enrico Deaglio sul “Venerdì” di “Repubblica”. Luttwak esordisce con una frase inquietante: “…Io sono l’unico ad avere la ricetta perfetta per la Sicilia” e i Siciliani. Come? “E’ semplice. Alzando con orgoglio il vessillo indipendentista sanguinante, i siciliani si riuniscono in assemblea e dichiarano la loro separazione da Roma (…)”. Certo, occorre “tirare la cinghia e risorgere, sotto un capo, un nuovo Federico II (…)”.
Apparentemente l’intervista a Edward Luttwak è passata inosservata: al messaggio, all’invito o alla provocazione del politologo (le dichiarazioni di Luttwak, ovviamente, vanno interpretate) non c’è stato (sempre apparentemente) alcun riscontro, nessuno (sempre apparentemente) ha mostrato un interesse. Eppure un personaggio come Edward Luttwak non parla mai a caso, né mai si esprime a caso: una ragione, alla radice di questa intervista (notando anche chi è l’intervistatore) deve pur esserci.
La Sicilia non è la Catalogna. Anche se il “sentimento” dell’indipendenza non si è mai spento, nei Siciliani la spinta verso la propria “sovranità” si è addormentata settant’anni addietro, quando venne concessa alla regione un’Autonomia Speciale che nessun governante siciliano ha mai applicato (forse per un “patto occulto” con lo Stato Italia). L’idea dell’indipendenza oggi sopravvive in decine di gruppuscoli sicilianisti, l’uno in contrasto con l’altro per mancanza di una leadership unica, credibile e affidabile. Oggi non c’è in Sicilia un nuovo Federico II. In Catalogna il movimento indipendentista è stato costantemente in grado di far sentire la propria voce tanto da incutere paura. In Sicilia oggi non incute più paura neanche la mafia, continuamente mitizzata perché torna utile tenerla come paravento quando si presentano fatti di corruzione e malaffare criminale che possono essere collegati alla politica. Se qualche entità estranea ritenesse altrettanto utile rispolverare il mito dell’indipendenza siciliana quale comodo spauracchio (contro chi?), allora (statene certi) l’argomento “indipendenza siciliana” tornerà a rivivere. Ma questo è un rischio che difficilmente si può correre: in fondo, i Siciliani, potrebbero (finalmente e magari) prendere coscienza della loro condizione di sudditanza e del loro degrado. E, chissà, potrebbero approfittarne…
PER APPROFONDIRE: Mare Nostrum Edizioni srl e La Voce dell'Isola hanno deciso, tempo fa, di rendere fruibile a tutti i lettori, gratis, il volume "Antonio Canepa Ultimo Atto". A questo link trovate i 23 capitoli in formato pdf