di Nello Cristaudo
Si è tenuta, nei giorni scorsi a Malvagna (ME), la conferenza sul tema: “Alta Valle Alcantara: Monachesimo bizantino, la Placa del Santissimo Salvatore e San Cremete”, organizzata da Don Daniele Torrisi, parroco della locale Parrocchia Sant’Anna e presieduta da padre Alessio Mandanikiota, Archimandrita ieromonaco ortodosso di S. Lucia del Mela (Messina).e dal Rev.mo sac. Domenico Massimino, arciprete parroco della Basilica Santa Maria di Randazzo, dove sono custodite le reliquie di San Cremete.
L’interessante incontro è stato l’occasione per conoscere meglio la storia del monachesimo bizantino, presente nella Valle Alcantara sin dall’anno 1000, dove nella spianata della Badiazza, in territorio di Francavilla di Sicilia, sorgeva il monastero di San Cremete (Clemente) di cui rimangono ancora pochi reperti e i resti della strutture dove visse pure questo santo anacoreta.
Nel presentare l’iniziativa, voluta fortemente dal poliedrico Don Daniele Torrisi, che faceva seguito ad un’altra tenutasi non più tardi di alcuni mesi fa, il parroco malvagnese ha precisato che “riscoprire la figura di San Cremete e il contesto in cui esercitava la sua santità, significa riscoprire le radici del nostro cristianesimo. Questo santo vissuto nel territorio della Valle Alcantara nel monastero dei San Salvatore della Placa, si può considerare il santo di tutte le nostre comunità e non di una sola”. Padre Torrisi, ha poi presentato il relatore Padre Alessio Mandakiota ieromonaco, il quale ha dato spunti e notizie sulla santità di San Cremete e sulla storia complessa del monachesimo bizantino in Sicilia.
Il “serafico” monaco ortodosso ha esordito ricordando all’uditorio che: ”Siamo qui per dare gloria a Dio ed onorare i suoi santi. Potrebbe sembrare, che la gloria di Dio sia data dai particolarismi quando invece, proprio attraverso essi, si ha un effetto contrario.” E continuando Padre Alessio affermava: “Viviamo in una epoca drammatica oggigiorno dove è messo in discussione la fede. E se potrebbe sembrare anacronistico parlare di santità, in realtà non lo è per nulla. Per capire San Cremete bisogna partire da Gesù e dalle fondamenta della cristianizzazione della Sicilia, terra si religiosa ma non cristiana, dove esisteva una sorta di sensibilità alle tematiche mistiche ma ritenute per lo più legate a riti pagani ed esoterici”.
Iniziando un excursus sulla cristianizzazione della Sicilia, l’esponente dell’ortodossia, si soffermava sul fenomeno del monachesimo bizantino in terra sicula, dove si sviluppò nel medioevo un movimento di notevole importanza sulla cui origine bizantina non vi sono motivi di dubbio. Inoltre, ha illustrato alcuni aspetti per far comprendere quale evoluzione esso subì e quale ruolo ebbe nella storia delle civiltà etnicamente e linguisticamente non omogenee, ma fra le quali fu spesso stranamente compresente l‘elemento greco, latino, arabo. La presenza, dapprima dei greci e in seguito dei monaci in Sicilia orientale, costituì un vero percorso di missionarietà di molti monaci Santi verso le popolazioni indigene, tra cui San Filippo d’Agira.e Sant’Elia. Tutte le chiese erano di rito greco e non latino sino al 1300.
L‘archeologia bizantina, prova la presenza di monaci in Sicilia (in grotte eremitiche, ecc.) come fu per l’appunto per San Cremete. Nel passato si è data grande importanza demografica all’immigrazione in Sicilia e in Calabria di perseguitati in fuga dall‘Oriente durante le lotte iconoclastiche, ma non si può pensare a grandi spostamenti di popolazione, anche perché gl‘iconoduli avrebbero ritrovato in Occidente le stesse leggi imperiali a loro ostili. Tant‘è vero che qualcuno di tali esiliati si stabilisce piuttosto in zone o fuori dell‘impero bizantino (Roma, Napoli) o affatto isolate (p. es. Lipari). Anche l‘esodo di monaci greci dalla Sicilia verso la Calabria e la Lucania, sotto la pressione degli Arabi, sembra abbia storicamente avuto le proporzioni che vorrebbero alcune Vite di santi.
Si può affermare che il monastero siculo-greco costituì per le popolazioni un punto di riferimento essenziale: luogo di pellegrinaggio, punto di attività agricole, centro di scambi, fonte di cultura, detentore del catasto fondiario. E tutto ciò in un‘area abbastanza vasta, che in Sicilia include, fra l’altro, le regioni di Siracusa, Taormina e Messina.
Con l‘arrivo dei Normanni i centri ecclesiali e monastici decaduti o abbandonati vengono restaurati, e riccamente dotati, e se ne fondano di nuovi. Si continua in particolare la tradizione precedente di costituire come delle confederazioni di monasteri minori coordinati da uno maggiore, che assicurava anche i contatti col potere politico. Tutto ciò era anche il portato della tendenza centralizzatrice del nuovo regno e riguardava del pari le istituzione ecclesiali e monastiche latine, soprattutto nelle zone nelle quali la popolazione greca non era maggioritaria. In sostanza i riti e la cultura greco ortodossa erano tollerati ma dovevano soggiacere al sovrano normanno fin quando scompariranno del tutto, venendo sostituiti dal rito latino.
Il corso della storia volgeva irresistibilmente verso il primato dell‘elemento latino e della Chiesa di Roma. Né l‘avvicendarsi della dinastia Svevi Angioini Aragonesi era fatto per migliorare le cose. Così, gradualmente, lungo tre secoli, la simpatia della popolazioni venne meno, le vocazioni diminuirono, la disciplina si affievolì. La vita monastica finì per sfociare nel disordine e nell‘incultura, o in forme stravaganti di ascesi… Possiamo dire che il XV secolo segna la fine di un fenomeno durato, nel bene e nel male, otto secoli.
Ma cerchiamo di collocare tale fenomeno nella vita economica e sociale. Si è soliti designare il nostro monachesimo come basiliano per analogia con il benedettino e il francescano., ma si tratta d‘uso recente introdotto dalla Chiesa romana e privo di fondamento storico. In realtà San Basilio fu, sì, fonte d‘ispirazione per tutto il monachesimo bizantino, ma non dettò mai una regola‘ del tipo di quelle che dovevano governare gli ordini monastici occidentali. Tuttavia le linee generali dell‘insegnamento basiliano ebbero due assi portanti ben precisi: la vita attiva e la vita contemplativa, e lungo essi si orientò anche il monachesimo siculo-greco.
San Cremete fu il monaco anacoreta che visse in una làura, cioè una organizzazione monastica che viveva in un gruppo di celle o grotte scavate nella roccia, ognuna separata dalle altre, ma con una chiesa e un sacerdote in comune; trasformatisi col tempo tali aggruppamenti in veri e propri cenobi. Egli incarnava gli insegnamenti evangelici e li praticava anche verso i più umili. Alternava periodi di ascesi eremitica, di anacoresi con quelli di vita in comune praticata nel cenobio. La sua memoria liturgica si celebra il 6 agosto giorno in cui l’abate di San Salvatore della Placa ritornò alla casa del Padre.
Malgrado la scomparsa istituzionale, la memoria dei “basiliani” rimane a lungo nelle nostre regioni meridionali e soprattutto in Sicilia, non soltanto attraverso i manoscritti che furono copiati nelle loro celle o nelle agiografie che ne fecero a lor modo la storia o nelle sopravvissute reliquie, ben poche, delle loro sedi. San Cremete, questo anacoreta poco conosciuto, mi piace immaginarlo come un “asceta meridionale”, un riflesso del modello dell’uomo siculo-greco, un riverbero di Dio, che parla il linguaggio del popolo e vive con esso le ansie e le preoccupazioni che spesso lo attanagliano… Un basiliano, redivivo, non ancora sufficientemente considerato dall‘antropologia storica.