Chi muove le fila dell’odio che spinge al terrorismo?

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di Salvo Barbagallo

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L’attacco alla moschea di Londra e la reazione mediatica che ne è seguita pone inquietanti interrogativi: chi muove le fila dell’odio che spinge al terrorismo? Chi soffia sul fuoco degli atavici “contrasti” fra religioni? Chi (ri)accende gli istinti razzisti? Superficiale e inutile (ri)porre sul tappeto le innumerevoli teorie sul complottismo internazionale che mira a provocare un caos generale perché, a conti fatti, nessuna mente sopraffina è in grado di gestire il caos e chi lo determina (anche solo ipoteticamente) a conti fatti ne viene travolto direttamente.

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L’attacco alla moschea di Londra, esecrabile come ogni azione violenta che l’uomo pone contro un altro uomo, e la reazione che ne è scaturita con l’immediata etichetta di “terrorismo bianco” quindi ingiustificabile, sembra compiuto per cancellare d’un sol colpo la memoria di tutti gli assassinii precedentemente perpetrati nei Paesi europei e sembra voler annullare il ricordo delle stragi di cristiani che vengono compiute quotidianamente in Oriente dall’Isis. Ogni azione violenta dell’uomo contro l’uomo è da condannare: è fuor di dubbio. Ma in questo scenario che diventa sempre più fosco quasi nessuno si indirizza alla concreta ricerca delle origini, il vero punto di partenza del terrorismo jihadista, il perché e il per come è proliferato in maniera esponenziale, penetrando tragicamente nella vita di ogni giorno anche in Paesi dove il radicalismo non aveva ragione d’essere.

Nascono inevitabili sospetti sulla strumentalizzazione che viene fatta (da una parte o dall’altra) di eventi nefasti, sospetti che generano dubbi e perplessità. È la ripetitività di atti esecrabili ai quali (immediatamente dopo che sono stati compiuti) si cerca di dare, unitamente a una condanna generica e (apparentemente) emotiva una spiegazione, che mette in evidenza una costante: l’odio e la rabbia (da una parte e dall’altra) come reazione.

Il sindaco di Londra, il musulmano Sadiq Khan prima dell’attentato alla moschea di Finsbury Park, aveva dichiarato: Vedo un grande pericolo di disordini sociali. Molto dipenderà dalla risposta del governo. C’è già molta rabbia fra la gente dopo l’incendio alla Grenfell Tower: che è innanzitutto una tragedia politica, per come quelle persone sono state trattate e per l’inadeguatezza della reazione da parte delle autorità.

Lo scrittore anglo-pachistano Hanif Kureishi non nasconde la sua preoccupazione. In un’intervista riportata dal quotidiano La Stampa, ha affermato: (…) abbiamo visto come la campagna per la Brexit sia stata accompagnata dal montare del razzismo. È stato il tentativo di una minoranza di imporre una identità bianca al Paese, soprattutto un tentativo di imporla a una città, Londra, dove quella identità unica non esiste (…) c’è una responsabilità dei media (…) L’islamofobia è qualcosa che nasce dal fallimento della distinzione fra l’islamismo come ideologia politica e tutti i musulmani. Invece bisogna sempre fare distinzioni, bisogna smetterla con le categorizzazioni. Non è che tutti i bianchi sono degli estremisti cristiani o sostenitori del turbo capitalismo (…).

Gli episodi cruenti che si accavallano continuamente suscitano “fenomeni” come quello verificatosi a Torino: il “terrore” rimane sottopelle e affiora drammaticamente nei momenti più impensabili. Altrettanto drammaticamente si accantonano (mentalmente) anche gli avvertimenti che vengono dati ufficialmente, come quello di pochi mesi addietro rilevato nella relazione annuale “sulla politica dell’informazione per la sicurezza” predisposta dal Dis (l’organismo che coordina l’attività dei servizi segreti italiani) che ha conferma lo stato d’allerta per il terrorismo di matrice islamica. L’attentato alla moschea di Finsbury Park a Londra vuol essere solo un “nuovo” campanello d’allarme, oppure è stato “qualcosa” d’altro?

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